Narrano i retroscenisti più accorsati che, in una delle innumerevoli conference call che il nostro smartissimo presidente Conte va facendo nelle sue lunghe giornate di lavoro da remoto a Palazzo Chigi, dopo essersi amabilmente intrattenuto con il celebrato esperto Colao sulle proposte per la messianica Fase 2, in particolare quella del lasciare a casa gli ultrasessantenni per ragioni di vecchiezza, abbia detto “sì grazie, ma questa proprio non si può fare”.
La proposta dell’esperto che guida un gruppo del numeroso bouquet di comitati, commissioni e task force nominate dal governo (una specie di nuova onorificenza consegnata con modalità surrettizie a chi non potrà fregiarsi, il due giugno, del titolo di commendatore) poggiava su un argomento statisticamente sostenibile: circa l’11% dei deceduti per aver contratto il coronavirus ha un’età compresa tra i 60 e i 70 anni, a fronte del 3,7% della classe d’età compresa nel decennio precedente (50-59) e del 30% circa di quella compresa nel decennio seguente (70-79). Insomma: più si va in là con gli anni, più si rischia di contrarre il virus, di contagiare qualcuno e di rimanerci secchi.
Dunque la proposta era di obbligare al congedo straordinario i sessantenni non ancora in età da pensione, a tutela della loro salute e di quella di tutti gli altri che hanno a che fare con loro. Per gli ultra-settantenni non c’erano indicazioni specifiche ma si pensa che la cautela sarebbe stata probabilmente rinforzata con una robusta colata di cemento armato davanti alla porta blindata di casa e un cecchino con licenza di sparare a vista al vecchietto.
Naturalmente se questo colloquio tra Conte e Colao si è effettivamente svolto nei termini riportati dai bene informati, non possiamo che convenire con il presidente che, oltretutto, avrà messo nel conto anche l’entità numerica dei rottamandi nel suo complesso: dai sessant’anni in poi si conta circa il 30% della popolazione italiana. Un partito grande quanto quello di Salvini nei sondaggi. Tra i sessantenni da poco, che sono una parte cospicua del ceto dirigente italiano, i media hanno fatto un’eloquente illustrazione di personaggi noti – a partire da Fiorello – ragionando sul fatto che il concetto di “anziano” si è modificato nel corso del tempo certificando che oggi l’epifania dell’anzianità sarebbe a 72 anni.
Filosofie consolatorie a parte, questa piccola storia racconta una grande verità nel rapporto tra tecnica e politica: il ruolo del tecnico è quello di predisporre in modo competente e ineccepibile i dossier. Quello del politico di scegliere dopo aver valutato quadri problematici e soluzioni. Dice: ma come si fa a scegliere bene? Beh, la capacità di scegliere è il “di più” di cui dovrebbe essere portatore il politico ben fatto, la sua dote, la sua “arte” che è un insieme di “vocazione” e “professionalità” (cito Max Weber…).
Guai a consegnare le scelte alle tecnocrazie. Il 25 aprile forse ci racconta anche questo: il primato della politica. Ma di quella buona, fondata sulla legittimazione del popolo e sulla competenza di chi la fa. Buona festa della Liberazione.