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Conte e le ombre cinesi sul vertice Ue. L’analisi di Pennisi

Per fortuna che il Consiglio Europeo convocato per oggi 23 aprile alle 15 è “informale”. Ciò vuol dire che al suo termine non è necessario una dichiarazione comune o comunicato concordato dai 19 Capi di Stato e di governo. Nelle conferenze stampa successive al vertice, ciascuno potrà così dire, entro certi limiti, ai propri concittadini ed al proprio elettorato ciò che ritiene più consono ai propri fini.

Come abbiamo anticipato, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte si presenterà come “vincitore” per avere “strappato agli arcigni nordici” che i prestiti a valere sullo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) non abbiano “condizionalità” e che ci sia “sul tavolo” qualche indicazione di mutualizzazione del debito incrementale.

Aspettiamo di vedere le conclusioni per commentarle. Occorre, però, mettere l’accento che se non ci sarà un’intesa di fondo. Specialmente su un programma di lavoro verso il varo di quello che ora viene chiamato Recovery Fund, l’Italia e gli italiani saranno tra i più penalizzati: lo spread schizzerà a 400 punti e venerdì al tradizionale e periodico annuncio sul merito di credito dell’Italia da parte dell’agenzia di rating S&P’s (al momento ‘Bbb’, due tacche sopra il livello spazzatura) i nostri titoli di Stato potrebbero subire un pessimo colpo.

In questa sede, il rappresentante dell’Italia si è sostanzialmente auto-isolato non solo a ragione delle posizioni contraddittorie prese nelle ultime settimane (se non mesi), sul Mes e non solo. C’è un’altra determinante che ha fatto sì che Francia e Spagna abbiano prese le distanze; ora Roma guida sostanzialmente una pattuglia che include solo Atene, La Valletta e Nicosia, ossia una piccola “armata Brancaleone” che nei consessi europei conta quanto il due di coppe quando briscola è denari. La determinante sono “le ombre cinesi” che gravano sull’Italia. Ossia il fatto che Roma coltivi una relazione con Pechino giudicata troppo stretta – e tale da mettere a repentaglio un’azione comune dell’Unione europea (Ue), e, se possibile, dell’intero Occidente- nei confronti delle manovre della Cina (sia direttamente sia tramite l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Oms, da essa controllate) per diffondere ed accreditare una narrativa secondo la quale l’Europa e gli Usa non siano stati in grado di controllare la pandemia, nonostante gli insegnamenti e gli aiuti da quello che un tempo veniva chiamato il Celeste Impero.

Il Presidente francese Macron ed il Presidente del Consiglio spagnolo Sanchez hanno risposto per le rime a tale narrativa. È, invece, imbarazzate che il Bismarckino nostrano (nomignolo datogli dai diplomatici di carriera da quando ha dichiarato al Corriere della Sera di ispirarsi alla Realpolitik del Cancelliere che nel 1870 unificò la Germania) chiami confidenzialmente “Ping” il leader supremo del Partito Comunista Cinese che non poca responsabilità nell’insabbiamento di un virus che ha causato una strage ed irreparabili danni. Hanno forse lavorato insieme allo Stadio San Paolo di Napoli?

Non c’è bisogno, infatti, di essere complottisti per capire che le responsabilità della Cina nella diffusione del coronavirus potrebbero essere molto più gravi di quanto non si sospettasse. Non è solo questione di culpa in vigilando sull’igiene dei mercati, delle persecuzioni inflitte al medico che aveva individuato il virus e delle reticenze nel comunicare al mondo la pericolosità dell’epidemia. Comincia a farsi strada l’ipotesi che il Covid-19 non sia uscito dalle viscere di un pipistrello (o di un pangolino, secondo un’altra versione) ma dalla provetta del laboratorio cinese di Wuhan, la città da cui è partita l’epidemia, nel quarto trimestre dell’anno scorso.

A sostenerlo non è l’ultimo arrivato, ma Luc Montagnier, lo scopritore del virus dell’Aids, Premio Nobel 2008 per la medicina. È molto ascoltato in tutto l’Occidente e la sua ipotesi conferma le testimonianze di centri di ricerca americano che hanno visitato più volto il laboratorio di Wuhan (i cui studi sono finanziati anche da fondazioni Usa) ed avevano denunciato le condizioni di scarsa sicurezza in cui ivi si lavorava e lavora. A Wuhan si stava tentando di fare mutare il “virus” in laboratorio; nella migliore delle ipotesi per farne un vaccino e nella peggiore per farne un’arma batteriologica (di quelle che piacciono nella Città Proibita) e, date le pessime condizioni di lavoro qualcosa è scappato di mano, creando la pandemia.

Se – come ci auguriamo – si eviterà una spaccatura al Consiglio Europeo, è essenziale che l’Italia rimuova al più presto le “ombre cinesi”: da venerdì inizia, infatti, una difficile trattativa europea in cui dobbiamo evitare che i nostri amplessi con Pechino siano una determinante per metterci nell’angolo.

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