“Questa esperienza è stata ed è il terreno dell’inaspettato, dell’imprevisto e dell’inatteso per cui tutto lo scatenarsi di polemiche, di accuse ed attacchi reciproci, a me fa specie perché invece avremmo dovuto ritrovare uno schema di coesione nazionale”. A parlare con Formiche.net è Sergio Scalpelli, da più di 15 anni a capo delle relazioni esterne e istituzionali di Fastweb ma, prima ancora, uno degli organizzatori culturali più attivi in questa Milano colpita al cuore dal coronavirus, animatore per tanti anni della Casa della Cultura del capoluogo lombardo, fondare con Giuliano Ferrara del Foglio e recentemente a capo del “Centro Brera”, associazione fondata da Bettino Craxi negli anni Settanta e appena rilanciata. “Appariamo rispetto a Francia, Germania, Spagna e Regno Unito – dice – quelli con un livello minore di capacità di dare una risposta più elevata, d’unità nazionale e anche solidale”.
Un bilancio non proprio positivo, quindi…
Ci sarà il tempo, spero non attraverso uno schema guidato dalle Procure della Repubblica, di fare i conti con errori e responsabilità e con due aspetti importanti. Il primo riguarda il rapporto tra la scienza e in generale con gli specialisti. L’altra la capacità della politica di sapere ascoltare e poi di scegliere e decidere.
Si è sottostimato il pericolo della pandemia?
Certamente all’inizio si sono accumulati una dozzina di giorni di ritardo sia a livello di governo che di regione. Il problema è che in tanti dicevano che fosse solo un’influenza “rafforzata” con schemi di contagio e vittime che rientravano appunto nello schema di un’influenza più pesante. È una vicenda sulla quale i limiti, gli errori, le incapacità di calcolare il grado di diffusione sono state davvero vaste.
Ed è emerso anche il problema dell’eccessivo decentramento soprattutto nella Sanità…
Non credo sia stato questo l’errore. La sanità lombarda ha mostrato un limite importante sul tema del rapporto tra ospedali e territorio, sottoscrivo la lettera dei centomila medici italiani, ma non il mix pubblico-privato che resta comunque per il 70% in mano pubblica. Voglio dire, la sanità lombarda è sostanzialmente pubblica con un privato convenzionato che nell’insieme ha consentito in tutti questi anni di curare tantissime persone. Quindi non è in discussione il modello lombardo.
Cosa non ha funzionato allora?
Non aver usato la dimensione territoriale e, quindi, i medici di base. Cosa che invece, ad un certo punto, ha fatto il Veneto azzeccando credo in pieno la strategia di contenimento del Covid-19.
Ma non è un problema anche di mancanza di leadership politica?
Totale. C’è un problema di fondo nel nostro Paese. Salvo alcuni momenti di buona politica con Romano Prodi e Silvio Berlusconi, c’è stato un livellamento al ribasso della politica e della sua autonomia che è stata letteralmente distrutta negli ultimi vent’anni. Se penso a questi due mesi, agli incredibili conflitti tra il governo centrale e le regioni, c’è da piangere.
E il nostro presidente del Consiglio come pensa abbia gestito la situazione?
Non è un problema legato alla persona, è la coalizione del governo ad essere molto debole. Del resto è debolissima anche l’opposizione. In più Conte si è trovato a gestire un’esperienza del tutto inedita. L’elemento di debolezza però riguarda tutto l’insieme: avere disintegrato i partiti politici che erano stati a fondamento della costruzione repubblicana dal 1945 al 1992 e aver pensato che la finta moralizzazione risolvesse il problema della selezione del ceto politico ci ha portato ad un progressivo disastro.
Il cavaliere bianco potrebbe essere Mario Draghi?
Ci vorrebbero una serie di condizioni che non sono neanche quelle che si determinarono nel 2011 con Mario Monti. Ci vuole davvero una grande riforma delle istituzioni che si è fatta male e a pezzettini con uno schema che consenta di rivedere il rapporto tra la rappresentanza e la decisione.
Ovvero?
Serve un gruppo di decisori, legittimati dal voto, che quando governano possano avere molta autonomia di decisione e non siano mai nelle mani di poteri, sottopoteri e piccoli gruppi di pressione come invece avviene attualmente.
Anche perché da questa pandemia gli schemi di relazioni internazionali muteranno. La Cina si sta proponendo, ad esempio, come il Paese amico che aiuta tutti…
Certo, basta guardare la copertina dell’Economist che si chiede se Pechino stia diventando il vincitore di questa partita. La Cina prima è sembrata molto indebolita, diciamo fino alla fine di febbraio, sia sul piano economico che reputazionale. Poi il virus è esploso ovunque e, in questo momento, sembrerebbe che la Cina ne stia venendo fuori meglio ma attenzione non dimentichiamoci che il loro modello è autocratico, per il me il Paese da prendere come riferimento è un altro.
Quale?
La Germania. Dove c’è un giusto bilanciamento basato sulla centralità dei lander e naturalmente su una classe dirigente adeguata perché la Merkel, sarà pure in uscita, ma è l’unico leader politico che richiama la grande tradizione popolare e una forte capacità di leadership e non ha dovuto bloccare un Paese e le sue attività produttive come è stato fatto da noi. Penso che nell’arco di un anno Berlino tornerà ai suoi livelli standard, ne uscirà meglio di altri.
Tutto questo mentre nel nostro Paese c’è un dibattito perenne sulla privacy e il contact tracing. Che ne pensa?
Il tema della privacy è ovviamente importante ma nella dimensione della democrazia degli algoritmi noi siamo già tracciati. Non vivo come un attacco ai diritti alla riservatezza il fatto che si digitalizzino le informazioni in chiave sanitaria. Siamo già entrati in una dimensione in base alla quale la ricodificazione dei rapporti tra democrazia e scelte dell’individuo è all’ordine del giorno. Qui si tratta semplicemente di utilizzare le tecnologie che servono a migliorare la qualità delle informazioni – in questo caso mediche – e farlo in tempo reale.
Magari non ostacolando l’implementazione del 5G…
Il 5G ti consente un’espansione della digitalizzazione del Paese tale per cui si supera in modo rapido il digital divide, si permette a tutte le famiglie di dare una connessione iper veloce e soprattutto si metterebbero in condizione milioni di persone di fare molto meglio rispetto a quello che si sta facendo se le reti 5G fossero già operative. E si badi bene nel complesso il mondo delle telco ha dato grande prova di sé sia sul piano della tenuta delle reti che della solidarietà. Per questo giudico molto gravi i comportamenti di certi sindaci che stanno emettendo delle ordinanze, senza averne i poteri, per bloccare l’espansione delle reti di nuova generazione: è una cosa da trattamento sanitario obbligatorio. Ci sono ancora delle sacche di opinione pubblica – i figliocci dei no-vax – che sono un problema serio per lo sviluppo e la tenuta di un Paese che ha bisogno come dell’aria che respira del digitale.