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Trump, i democratici e la Cina. Trova le differenze. L’analisi di Lucio Martino

Di Lucio Martino

All’inizio di febbraio, era forte e diffusa la preoccupazione che un’eccessiva reazione alla minaccia, ancora poco chiara, rappresentata dal Covid-19 avrebbe portato a un ingiustificato grave rallentamento dell’economia globale. Il presidente Donald Trump ha subito condiviso tale preoccupazione al punto dall’esser accusato di aver colpevolmente ignorato l’epidemia.

Nel frattempo, Covid 19 ha cancellato qualsiasi altra cosa. La politica interna degli Stati Uniti, il commercio tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti, le tensioni tra l’Iran e gli Stati Uniti, la Brexit, la Federazione Russa e l’Ucraina, per non dire dell’Afghanistan e del Cambiamento Climatico, sono tutte cose semplicemente scomparse dagli schermi.

Quattro anni fa, con la sua candidatura, Trump ha smentito ogni saggezza convenzionale. È quindi impossibile escludere che possa quest’anno farlo di nuovo, anche se nelle presenti circostanze la teoria di lunga data secondo la quale Trump può fare affidamento sulla lealtà della suo elettorato, anche in presenza di una forte recessione economica, sta per essere messa alla prova. Sotto questo punto di vista, i prossimi tre mesi saranno decisivi.

Le grandi convenzioni di partito in programma per l’estate e l’intensa campagna elettorale dell’autunno contano, ma in genere gli sforzi di entrambi i candidati finiscono con l’annullarsi reciprocamente. Di conseguenza, quello che di solito conta di più è quanto gli elettori percepiscono dello stato della nazione prima dell’inizio delle fasi finali della campagna presidenziale. Ne consegue che le condizioni di questo secondo trimestre si presentano come i migliori indicatori di come andranno a finire le elezioni.

Sotto questo punto di vista, vale la pena notare come fino ad oggi Covid 19 ha avuto un impatto positivo su una valutazione della presidenza Trump che ormai sfiora il 60%. Chiusi nelle loro case, gli elettori hanno per la prima volta il tempo di ascoltare quotidianamente un presidente che si comporta come se il suo Paese fosse in guerra, di notare le diverse impostazioni nel riportare le stesse notizie, di pensare intensamente a ciò di cui sono stati nutriti dai media negli ultimi tre anni e, quindi, di valutare cosa di tutto ciò è davvero rilevante.

Nel frattempo, Joe Biden è diventato invisibile. All’inizio di marzo, l’ex vicepresidente dominava le prime pagine, mentre oggi è poco più di una nota a margine, anche nei media liberali. A soli sette mesi dalle elezioni generali, quella in cui si ritrova Biden non è una buona situazione, neanche in tempo di pandemia. Con le primarie in stallo e la durata della crisi tutt’altro che certa, è ancora meno certo se la caparbietà con la quale quest’ultimo continua a escludere qualsiasi rinvio delle elezioni sia nell’interesse suo e del suo partito.

Qualunque mancanza abbia commesso nella gestione del Covid 19, la decisione di Trump di vietare tutti i collegamenti con Repubblica Popolare Cinese è ampiamente considerata come positiva. Altrettanto positivamente è giudicato il suo successivo blocco dei collegamenti con l’Europa, nonostante il modo unilaterale con il quale è stato concepito. Nell’insieme, queste due decisioni hanno avuto l’effetto di consolidare la base elettorale del presidente in carica perché del tutto coerenti, anche nella loro esecuzione, con quella visione post internazionalista premiata nelle elezioni del 2016.

Inoltre, l’insistenza con la quale Trump ha attribuito ogni responsabilità alla Repubblica Popolare Cinese ha come suo vero obiettivo il marcare una netta differenza tra lui e il suo presunto avversario democratico. Biden, come a suo tempo Hillary Clinton, ha difficoltà a ricondurre a una particolare identità cose come virus e terrorismo. Tuttavia, nel dimostrare come anche in una crisi globale la sua amministrazione non ha alcun appetito per quel tipo di coalizioni internazionali caratteristica comune di simili precedenti circostanze, Trump ha contribuito a creare uno spazio che proprio la Repubblica Popolare Cinese sembra in grado di occupare più di chiunque altro.

Il mondo post Covid 19 sarà un posto probabilmente molto diverso. La pandemia ha causato il crollo delle catene di approvvigionamento di settori anche molto diversi e lontani da quello farmaceutico e delle apparecchiature mediche, tanto che la tentazione di aumentare gli ostacoli alle forniture estere e di sostituire le importazioni con nuove produzioni interne è più forte che mai. Una simile evoluzione è già in atto anche in Europa, dove le azioni prese dai vari governi nazionali per fronteggiare Covid 19 hanno minato ogni solidarietà e impedito all’Unione europea di adottare un approccio comune. A questo punto, tutto fa pensare che neanche un diverso inquilino della Casa Bianca vorrà oppure potrà mai evitare che Covid 19 finisca per rimodellare l’intera globalizzazione, alterandone profondamente gli equilibri politici, economici e strategici.

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