La pandemia causata dal Covid-19 ha creato danni incalcolabili. Ma chi li risarcisce? Chi è responsabile di aver omesso di prendere le misure necessarie a contenere il virus? Uno stuolo di avvocati e di giuristi più o meno improvvisati è al lavoro.
La Cina è di regola indiziata come lo Stato responsabile e le proposte, talvolta alquanto fantasiose, non mancano. Si va dalla denuncia della dirigenza cinese alla Corte penale internazionale alla petizione volta a trovare uno Stato che intenda assumersi l’onere di iniziare un procedimento contro la Cina di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Ma tutte queste proposte non si sono ancora consolidate in iniziative più o meno credibili.
Al contrario, azioni legali sono state introdotte negli Stati Uniti da coloro che si ritengono danneggiati dalla Cina, accusandola di negligenza nel contenimento dell’epidemia o addirittura di aver condotto esperimenti senza aver preso le misure necessarie per impedire la diffusione del virus. Le class action sono state intraprese in California, Florida, Nevada e Texas. Addirittura l’attorney general del Missouri ha iniziato un procedimento legale e analoga azione è stata intrapresa (o sta per esserlo) da un altro stato della Federazione: il Mississipi. Le iniziative dei due Stati federali hanno sollevato le proteste della Cina e sono state bollate di “hooliganismo”.
Procedimenti dinanzi ai tribunali contro la Cina sono stati iniziati (Francia) o sono allo studio (Regno Unito) anche in Europa. In Italia il Codacons sta raccogliendo adesioni per eventuali azioni di risarcimento danni contro la Cina di fronte ai nostri tribunali.
Quali probabilità di successo possono avere azioni del genere? Scarse. Indipendentemente dal merito della questione – se cioè la Cina sia effettivamente responsabile per la propagazione del virus – esiste un principio di diritto internazionale secondo cui gli Stati esteri non possono essere convenuti in giudizio per attività pubblicistiche, connesse alla loro sovranità, quali sono quelle inerenti alla gestione della salute.
Per poter convenire in giudizio la Cina occorrerebbe dimostrare che l’attività espletata a Wuhan era di natura privatistica, volta alla fabbricazione e commercializzazione di prodotti farmaceutici. Un tentativo è stato fatto in una delle class action intentate negli Stati Uniti, dove addirittura è stato chiamato in causa il partito comunista cinese e il presidente della Repubblica. Ma il partito comunista si identifica con lo Stato e il Presidente Xi Jinping, in quanto capo di Stato, gode di immunità e comunque la sua azione è imputabile allo stato cinese. Sempre negli Usa sono stati presentati al Congresso progetti di legge per limitare l’immunità giurisdizionale, quantunque non abbiano probabilità di successo.
Stando così le cose i tribunali interni dovrebbero dichiararsi incompetenti a giudicare la controversia. Ciò che potrebbe avvenire anche in Italia, tranne che possa essere invocata un’eccezione consolidata nella giurisprudenza italiana, secondo cui uno Stato estero può essere convenuto in giudizio anche per attività sovrane, quando queste finiscano per ledere principi inderogabili del diritto internazionale.
Un’azione contro uno Stato estero pone un’ulteriore difficoltà. A supporre che il tribunale si dichiarasse competente e la class action fosse accolta, come potrebbe essere materialmente eseguita la sentenza e come potrebbe essere ottenuto il risarcimento? Occorrerebbe sequestrare beni cinesi nello Stato che ha emesso la sentenza o in altro Stato che decidesse di eseguirla. Ma sul punto il diritto internazionale è ancora più restrittivo, intendendo assicurare un’adeguata tutela dei beni stranieri.
Indipendentemente da azioni risarcitorie, ci sono altre vie per accertare la realtà dei fatti? La strada maestra è quella di una commissione d’inchiesta composta da esperti indipendenti. Tale commissione potrebbe operare sotto l’egida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, oppure sotto quella del Consiglio dei diritti umani o di altro organismo internazionale. I membri della commissione dovrebbero però avere un accesso incondizionato ai luoghi e poter interloquire con le persone interessate.
La proposta è stata avanzata dall’Australia, tuttavia la Cina si è subito opposta. L’Australia ha contattato vari governi occidentali, incassando il consenso degli Stati Uniti, ma non quello del Regno Unito, della Francia e della Germania. Sarebbe interessante conoscere il parere del governo italiano, a supporre che sia stato contattato. I membri Ue sono molto cauti e un rapporto del Seae (Servizio europeo per l’azione esterna), che a quanto sembra metteva in luce le effettive responsabilità, è stato tenuto riservato.
La lotta contro la pandemia è di primaria importanza. Ma ciò non esclude che si possa accertare la reale situazione della sua origine. E questo indipendentemente da ogni azione risarcitoria.
(Articolo pubblicato da Affarinternazionali)