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La mia diocesi, la chiesa e papa Francesco. Il conforto del vescovo di Bergamo

Tutta l’Italia è gravemente provata dal coronavirus, e in modo particolare lo è la Lombardia. Il territorio di Bergamo è in testa per il numero dei contagiati, come anche per quello dei defunti a causa del virus. Molti di questi sono uomini e donne rimaste in prima linea dall’inizio dell’emergenza. Si contano tanti medici e operatori sanitari, ma anche molti sacerdoti, che hanno raccolto l’invito di papa Francesco a stare con i malati. Ma dalle finestre e dai balconi continuano a sventolare striscioni con un messaggio forte e chiaro: Bergamo “non mola mia”. Di tutto questo, Formiche.net ha parlato con il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi.

Eccellenza, sono giorni davvero duri, e lo sono in modo particolare per la sua diocesi. Lei ha denunciato la perdita di molti, troppi sacerdoti stroncati dal coronavirus. Senza nemmeno poter dare l’estrema unzione. 

In questo momento c’è un grandissimo bisogno di vicinanza. Ma questa vicinanza non basta. Nei giorni scorsi, quando ancora non si aveva la percezione della gravità del morbo, prosegue il prelato, si continuava a “vivere pensando a un po’ più a sé stessi”. Adesso ci sentiamo più vicini. L’urgenza ha fatto scattare una solidarietà generosamente impressionante. La solidarietà ha poi fatto nascere il senso di prossimità. Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, operatori di diverso tipo, maestranze.

Quali sono state le sue reazioni?

Ho riconsegnato alla comunità cristiana due doni che appartengono alla tradizione e alla dottrina della Chiesa. Il primo è il “votum sacramenti” cioè la confessione di desiderio: nel momento dell’impossibilità di accedere al sacramento, un fedele, profondamente pentito dei suoi peccati può rivolgere al Signore la sua richiesta di perdono con una preghiera di pentimento, promettendo di vivere poi il sacramento appena possibile e così il Signore lo perdona. Ho poi ricordato e indicato a tutta la diocesi il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del Battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari. E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore.

I sacerdoti cosa raccontano?

I sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati. Il problema non è che non ci si può muovere. C’è la preoccupazione del contagio: non tanto e solo del sacerdote per sé, quanto piuttosto di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, perché il prete potrebbe essere positivo e asintomatico, come molti, ed è così che il virus si diffonde maggiormente. Quindi serve anche prudenza pastorale. Però per dire l’impegno dei miei sacerdoti bergamaschi, mi permetta solo di ricordare che dal 1 marzo sono morti 16 sacerdoti per il virus e una ventina sono ricoverati e alcuni sono gravi. Anche questo è segno di profonda dedizione. A conforto, devo dire anche che questa settimana venti sacerdoti nel giro di qualche giorno sono migliorati notevolmente e altri sono già usciti dall’ospedale. Questo è un segno che ci conforta molto.

Come state vivendo questi momenti terribili?

Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte. Qui le morti veramente si moltiplicano e per adesso non solo non diminuiscono, ma crescono. Coloro che muoiono sono tanti. Negli ospedali muoiono quelli che sono più gravi, molti nelle loro case e non rientrano nei conteggi ufficiali. Veramente, non si sa più dove metterli. Vengono allora utilizzate anche alcune chiese: è un gesto di tenerezza verso persone che muoiono da sole e anche le loro salme rischiano di rimanere accatastate. Che siano in una chiesa è un dono di rispetto e di premura.

Quali sono i sentimenti che accompagnano le giornate?

Tutto questo è accompagnato da sentimenti molto profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà, lui è in quarantena, la mamma è in quarantena da sola in un’altra casa. I suoi fratelli sono in quarantena, non si fa alcun funerale, verrà portato al cimitero e verrà sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante perché viene a mancare. Inoltre, quando il malato viene portato via da casa con l’ambulanza e ricoverato tra gli infettivi o in terapia intensiva i familiari non lo vedono più, non lo sentono più, non possono parlargli neanche telefonicamente. Il dolore è immenso. Si avverte allora il dire: ma siamo proprio soli, tutti sono soli?

In un primo momento forse non si era presa consapevolezza. Ora le cose paiono diverse, la gente ha capito che deve essere responsabile. Come le sembra stia rispondendo la popolazione?

Bisogna fare attenzione perché i tempi saranno ancora lunghi. Il rispetto delle regole è necessario come gesto di bene comune. Alle istituzioni sanitarie, civili e militari, va solo il grazie per quanto stanno facendo in modo eroico nella dedizione. Bisogna coltivare consapevolezza e comprensione reciproca maggiore. Bisogna che la condivisione si mantenga nelle prossime settimane.

Il cardinale Comastri ha parlato di giorni in cui Dio, in qualche modo, ci mette alla prova. Questo vale soprattutto per la sanità del territorio lombardo. Come stanno reagendo medici, infermieri, ricercatori?

Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, di coloro che stanno lavorando nei nostri ospedali, nell’ospedale più grande che è intitolato peraltro al Santo papa Giovanni XXIII, figlio di questa terra. Come piccolo segno di attenzione nei loro riguardi la diocesi ha messo a disposizione 50 stanze in Seminario perché medici e infermieri, lontani dalle loro famiglie sia per il ritmo estenuante dei turni, sia per la paura di contagiare i loro bambini, possano riposarsi nelle poche pause di cambio.

Ha avuto modo di entrare in contatto con i medici e gli operatori sanitari?

Già nei primi giorni della burrasca, vedendo il loro eroismo e la generosità, mi sono sentito di chiedere tramite le istituzioni di far giungere un messaggio su tutti i cellulari dei medici e degli infermieri, operatori sanitari e di tutti coloro che si adoperano nella gestione dell’urgenza, come forze dell’ordine o amministrativi delle istituzioni: “L’ammirazione e la riconoscenza per tutti voi mi commuovono e mi spronano nel mio servizio. Diventano Benedizione e preghiera quotidiana per ciascuno di  voi e i vostri cari. Maria, interceda per voi”. Sono poi in contatto con il prefetto e le autorità civili, militari, sanitarie. E la stessa Bergamo intera lo riconosce: basta vedere gli striscioni con il “grazie” fuori dagli ospedali, o i post sui social. Questo fa onore ai bergamaschi.

Come vi state organizzando nella sua diocesi, per quanto riguarda preghiere e celebrazioni? La rete vi sta aiutando, vi sembra un compromesso accettabile? Papa Francesco ha invitato a stare con i malati, ma il rischio è di portare con sé anche il virus.

La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Le parrocchie si sono mosse sui social, con celebrazioni in streaming, con proposte di video e di testi in chat. La stessa curia ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e www.oratoribg.it in modo particolare per i ragazzi a casa con proposte specifiche per loro. C’è poi un impegno della diocesi per ospitare in alcune strutture persone che vengono dimesse dagli ospedali e necessitano di quarantena che però non possono vivere nelle loro case perché non hanno spazi adatti, essendo che tutti sono costretti a stare nelle abitazioni, anche i bambini, essendo chiuse scuole e attività.

Come si curano le ferite psicologiche, oltre a quelle spirituali?

Abbiamo costruito un servizio telefonico di consolazione spirituale e supporto psicologico, con una settantina tra sacerdoti, religiosi e religiose, laici tra cui psicologi, per sostenere tutte le persone che in famiglia stanno vivendo particolari situazioni di dolore per la malattia e la morte, ma anche  infermieri, medici, coloro che in diverso modo si stanno adoperando donando eroicamente le loro forze. Tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza e della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.

Nei primi giorni in cui è stato emanato il decreto del governo sulle restrizioni da adottare, si è raccontato di alcune celebrazioni “clandestine”. A Cerveteri, mentre un sacerdote celebrava Messa con tutte le restrizioni di sicurezza, è entrata la polizia facendo fermare il rito. Papa Francesco lo ha poi spiegato in maniera essenziale: le misure drastiche non sempre portano al bene. Lei che ne pensa?

Piuttosto che entrare nel dettaglio di singoli casi, preferisco fare una riflessione teorica a monte, premettendo che la responsabilità dell’obbedienza alle leggi di ordine pubblico è un servizio al bene comune. Le chiese non sono mai state chiuse da noi, solo non si celebra con il popolo. Le Messe non si sono mai fermate, solamente il prete celebra da solo senza la gente. Viene chiesto alle comunità in questa Quaresima un digiuno che non avremmo mai pensato, quello dall’Eucaristia, ma come si dice di una persona che ami e che per un po’ di tempo non puoi vedere, assenza è doppia presenza. Forse stiamo cogliendo di più il valore di un dono che troppo spesso abbiamo dato per scontato e ritenuto un diritto. E in più capiamo che Dio non segue la logica social dei follower: la Messa non è che vale di più se ha tanta gente e non ha effetto se non c’è nessuno.

Un’immagine molto suggestiva.

Quando un prete celebra da solo, non vuole dire che non ci sono i fedeli. Celebra comunque con loro e per loro. Di solito siamo noi che andiamo da Dio, che bello pensare che proprio in questo momento è Dio che viene da noi. Tu sei a casa e pensi che il tuo prete, da solo, davanti a Dio, sta pensando a te. Inoltre questo ha fatto nascere fantasia di vicinanza dei preti riscoprendo i social, lo streaming, le app, le chat, le videochat, le radio, per offrire iniziative ai ragazzi a casa, riflessioni per gli adulti via chat, pillole audio con storie o canti per fare compagnia agli anziani, linee telefoniche di consolazione.

Che sensazioni ha avuto vedendo il papa camminare per Roma come un pellegrino, e pregare rivolgendosi al Crocifisso nella chiesa di San Marcello al Corso?

Ho sentito il Papa camminare al nostro fianco. Questo si è concretizzato con molta emozione quando mi ha chiamato al telefono. Il Santo Padre è stato molto affettuoso manifestando la sua paterna vicinanza, a me, ai sacerdoti, ai malati, a coloro che li curano e a tutta la nostra Comunità. Ha voluto chiedere dettagli sulla situazione che Bergamo sta vivendo, sulla quale era molto informato. È rimasto molto colpito dalla sofferenza per i moltissimi defunti e per il distacco che le famiglie sono costrette a vivere in modo così doloroso. Mi ha pregato di portare a tutti e a ciascuno la sua benedizione confortatrice e portatrice di grazia, di luce e di forza. In modo particolare mi ha chiesto di far giungere la sua vicinanza ai malati e a tutti coloro che in diverso modo stanno prodigandosi in modo eroico per il bene degli altri: medici, infermieri, autorità civile e sanitarie, forze dell’ordine.

Quali altre sensazioni le ha trasmesso?

Un sentimento di profondo compiacimento lo ha espresso verso i nostri sacerdoti, colpito dal numero dei morti e dei ricoverati, ma anche impressionato in positivo dalla fantasia pastorale con cui è stata inventata ogni forma possibile di vicinanza alle famiglie, agli anziani e ai bambini, segno della vicinanza stessa di Dio. Papa Francesco ha promesso che ci porta nel suo cuore e nelle sue preghiere quotidiane. Questo suo gesto così delicato di premura e la sua benedizione di padre è stata una eco, una continuazione, una realizzazione concreta per me e sono convinto per l’intera diocesi e per ciascuno di quella carezza del nostro santo Giovanni XXIII che ieri abbiamo invocato nella supplica e che la natura con i primi germogli di primavera ci sta riconsegnando.

Qual è il messaggio che vuole dare ai fedeli, con quale spirito bisogna affrontare queste giornate di sofferenza? 

La generatività: è un concetto che come diocesi stavamo riproponendo spesso in questo ultimo periodo. La crisi ce lo riconsegna in modo speciale. È cioè il passare dalla produzione di cose e eventi alla generazione di legami e contenuti. Questo isolamento sta generando prossimità e sta chiedendo una riflessione intensa su ciò che conta davvero. Bergamo “mola mia” si legge ovunque, ma anche Bergamo non vuole essere molle. C’è una forza interiore più vasta e più profonda anche del male. Sarà la solidità su cui ricostruire le famiglie, su cui far ripartire il lavoro, su cui puntare la leva per sollevare un’economia schiacciata al suolo, su cui far forza per cicatrizzare le ferite emotive, su cui appoggiarsi per rielaborare un lutto che è stato solo deglutito, su cui mettersi in piedi per guardare l’orizzonte e ripartire. Una solidità che mi ha fatto vedere persone a pezzi aiutare chi aveva solo una crepa.

Ci può spiegare questo concetto con alcune immagini?

La generatività ha il volto di persone che prima neanche si salutavano sul pianerottolo e ora vanno a fare la spesa ai vicini anziani per non esporli al rischio o per aiutare in situazioni di quarantena. Ha il profumo e il gusto di pizze e brioche fatte arrivare in ospedale a medici e infermieri. Ha la pelle d’oca per la telefonata di una persona che non senti da tantissimo e superando silenzi o incomprensioni ti dice: “Volevo sapere come stavi, perché penso a te”. La generatività ha visto una Bergamo in ginocchio per il virus, ma anche – a cominciare dalla generosità dei preti – nella preghiera. La generatività saprà riempire di aria di primavera i polmoni che hanno ripreso a gonfiarsi di vita oltre ogni odore di medicinale. La generatività insegnerà a ridire “grazie”.

Non deve essere facile, di questi tempi.

Lo diventa quando capisci che niente ti è dovuto, tutto è donato. La generatività, infine, mpreziosirà le strette di mano: dopo averle evitate come pericolose ci si è resi conto di quanto siano essenziali, se calde e convinte, per risollevarsi. Insegnerà a fidarsi degli altri e ad affidarsi alle competenze degli altri, perché non si può essere sempre tuttologi. Ha anche la forza di provocare riflessioni che scuotono: che senso ha affannarsi se poi in un attimo tutto va in panne? Che senso ha rincorrere il superfluo se quando meno te lo aspetti ti si sgretola l’indispensabile? Bergamo non molla, perché Bergamo non è molle.


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