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L’elicottero del futuro e il ruolo dell’Italia (e dell’Europa?). Parla Nones (Iai)

Gli Stati Uniti si preparano al “salto generazionale” nell’elicotteristica militare. L’Italia vanta nel campo “uno dei principali attori al mondo” e dovrebbe dunque seguire quanto accade oltreoceano “con attenzione”. Nel caso si presentino ipotesi di partnership, bisognerà “farsi trovare pronti”, continuando a investire in programmi di acquisizione e sviluppo, e “muovendosi sempre come sistema-Paese”. È il punto di Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), sulle novità che arrivano dagli Stati Uniti, dove la scorsa settimana lo US Army ha selezionato le due aziende, Bell e Sikorsky (controllata di Lockheed Martin), che si contenderanno la vittoria per il programma Fara, il prossimo elicottero dell’Esercito americano, considerato dagli esperti una possibile rivoluzione per il settore.

Come vede l’evoluzione elicotteristica in corso negli Usa?

Gli Stati Uniti confermano di essere e rimanere il punto di riferimento in gran parte dei segmenti dell’aerospazio, difesa e sicurezza. Va interpretata prima di tutto così la decisione di finanziare due grandi progetti in competizione nell’ambito del programma Fara.

Di che si tratta?

Sciogliendo l’acronimo (Future attack reconnaissance aircraft), si chiarisce che si tratta di un elicottero d’attacco, ma soprattutto si parla di “aircraft”, cioè di velivolo, e non di macchina ad ala rotante in senso stretto. Si dà per scontato il concetto che la distinzione tra aereo ed elicottero verrà meno. Entrambi i progetti rimasti in gara sono altamente innovativi, ma la soluzione di Sikorsky (con due rotori coassiali controrotanti nella parte superiore) lo è molto di più: prevede qualcosa a cui si era pensato in passato, quando tuttavia non si disponeva della tecnologia adatta per un salto di questo tipo.

Un rivoluzione per gli elicotteri?

Sicuramente si sta preparando un salto generazionale, anche perché il programma rientra nel più ampio progetto del Future vertical lift (Fvl) destinato a portare alla sostituzione di tutte le macchine in servizio nelle Forze armate americane.

C’è già stato in passato un salto di questo tipo?

Direi di no. Nel recente passato abbiamo assistito a un’evoluzione progressiva di prestazioni e caratteristiche, legate sostanzialmente al miglioramento delle capacità di propulsione e di trasmissione, per non parlare dei sistemi elettronici di bordo e del controllo della macchina. Ora si sta prefigurando un vero e proprio salto generazionale, forse assimilabile solo a quando furono introdotti gli elicotteri d’attacco, anche se in quel caso era dovuto a esigenze particolari e comunque si rimaneva nell’ambito “classico” dell’ala rotante.

L’Europa come dovrebbe guardare a tale salto?

Personalmente, mi suona come un campanello d’allarme. Mi riporta alla situazione europea della fine degli anni 90, quando gli americani decisero di sviluppare il Joint Strike Fighter, poi tradottosi nel programma F-35. In quell’occasione, noi europei perdemmo l’occasione di partecipare collettivamente al salto generazionale che si stava prospettando per individuare un sostituto del Tornado con un velivolo di nuova generazione. Molti si erano cullati all’idea di poter continuare ad utilizzare Eurofighter, un aereo di generazione inferiore. Gli unici Paesi che guardarono in modo lungimirante al salto generazionale furono Regno Unito e Italia.

Una decisione giusta, quindi.

Sì, anche se poi il nostro Paese è scivolato sul terreno del coinvolgimento tecnologico e industriale, ma ciò si deve in gran parte alle decisioni politiche. In quell’occasione, abbiamo intravisto un salto generazionale e, in mancanza di alternative, abbiamo deciso di salire da soli sul carro dello sviluppo tecnologico. Decisione saggia, soprattutto a guardare ora i risultati di quelli che sono rimasti fuori, come la Germania, alle prese con un bel problema per il futuro delle sue forze aeree.

La lezione servirà per il salto nell’elicotteristica?

Sicuramente la nuova prospettiva di sviluppo tecnologico americano va vista anche alla luce della negativa esperienza europea. Comunque, in questo campo, l’Europa ha due tra i principali attori al mondo: Airbus e Leonardo. A differenza di altri settori, qui siamo competitivi. Forse questo avrebbe dovuto spingerci a consolidare la posizione con finanziamenti e progetti innovativi, se non nelle macchine, quanto meno in tecnologie e sottosistemi che oggi potrebbero favorire una comunalità di programmi. Per ora comunque nulla. Sembra che a livello europeo non ci si renda conto che, proprio perché ben posizionati, dovremmo consolidare il livello delle nostre capacità.

L’Italia, in particolare, come guarda agli sviluppi d’oltreoceano?

Gli americani per ora marciano da soli, ma è importante continuare a osservare l’evoluzione dei due progetti Fara e capire quale alla fine verrà scelto. Non abbiamo ancora la percezione che, da parte americana, ci sia interesse a puntare su forme di collaborazione con altri Paesi, ma la situazione è in evoluzione e l’Italia, in futuro, potrebbe sicuramente essere un partner interessante per gli Stati Uniti.

Perché?

Sia per le consistenti capacità industriali e tecnologiche italiane in campo elicotteristico, sia perché l’Italia potrebbe essere un valido alleato per gli Usa di ingresso nel mercato europeo. Da parte nostra, noi potremmo essere interessati a una seria collaborazione transatlantica perché ci permetterebbe di partecipare al suddetto salto tecnologico e di rafforzare le nostre capacità industriali e tecnologiche. Se e quando ci sarà il momento di valutare tale opzione, dovranno però verificarsi due condizioni.

Quali?

Prima di tutto, bisogna arrivare a quell’eventuale appuntamento con un’industria efficiente e competitiva. Dobbiamo continuare a mantenere quei programmi di acquisizione e sviluppo tecnologico che sono necessari per consentire alla nostra industria elicotteristica di rimanere allo stato dell’arte. Ciò significa investire anche nell’attuale generazione di macchine presenti. Un conto è essere sulla cresta dell’onda della generazione attuale e poi transitare sull’inizio della prossima; un altro è essere in ritardo su questa generazione e poi pensare di poter fare il salto. In questo settore, ritardi e fratture si pagano molto pesantemente.

E la seconda condizione?

Che qualsiasi discussione avvenga nel coinvolgimento di tutto il sistema-Paese. Tra i grandi produttori nel settore dell’aerospazio, difesa e sicurezza, siamo stati l’ultimo a realizzare un approccio di carattere sistemico, quello che mette insieme la politica (governo e Parlamento, a partire da Difesa, Mise, Mef e presidenza del Consiglio), le Forze armate e l’industria. È fondamentale che tutte le nostre scelte future, soprattutto quelle di carattere strategico, vengano fatte con tale approccio affinché il sistema-Paese sappia avvantaggiarsene consentendo a tutti di posizionarsi tempestivamente e ricavare i migliori risultati. Senza questa seconda condizione, rischiamo un approccio simile a quello adottato per l’F-35, quando siamo andati in ordine sparsi tra spinte in avanti e passi indietro. Ecco, questo non ci avvantaggerebbe. Nel caso, gli americani devono considerarci come potenziale partner, e non come subfornitore o semplice venditore.


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