Scrive Panikkar: Non possiamo vivere in un mondo a compartimenti. L’altro diviene un problema proprio perché invade la mia vita ed è irriducibile al mio modo di vedere. Se un estremo è pensare che noi siamo nel giusto e gli altri in errore, l’altro estremo è ritenere che siamo tutti adatti per un tipo di villaggio globale. (10)
In questo piccolo esercizio quotidiano di riflessione, tra separazione e omologazione, ancora una volta torniamo sull’esigenza di un realismo-nelle-differenze.
Se è difficile mediare tra il bisogno di riconoscimento delle appartenenze e l’esigenza di una convivenza “planetaria”, è al contempo necessario. Non si può pensare, nelle sfide che viviamo, che qualcuno possa farcela da solo, che il “nostro” punto di vista ci salvi dal resto, ci metta al sicuro.
Non possiamo diventare sicuri della nostra sicurezza né separandoci dall’altro né, tanto meno, omologandoci tutti in una sorta di villaggio globale che, peraltro, abbiamo già criticato. Entrambe queste prospettive sono monche, mancano del riconoscimento delle polarità che ci appartengono (universale/particolare) e della mediazione per cercare di tenerle insieme progettualmente.
La scelta, dunque, non può appartenere all’o/o ma, semmai, all’e/e. Perché gli estremi, pur rimanendo tali, vivono entrambi in un legame profondo, invisibile e impalpabile, che chiamiamo “comune”. E’ un luogo misterioso che non possiamo rendere evidente come il privato e il pubblico.
Solo nel “comune”, laddove l’o/o progressivamente si de-radicalizza, possiamo fermarci a guardare in faccia la realtà. Perché, al di là delle nostre radicalizzazioni di parte, le separazioni nella realtà si accompagnano a nuove forme (conflittuali) di incontro per il dialogo. Fuori da ogni ingenuità, occorre osservare i mondi che evolvono dentro il mondo che vediamo.
Ci sono emergenze buone che, se sistematizzate (anzitutto in un pensiero complesso) in uno spazio “comune”, possono aiutarci a cambiare via, a non cadere vittima dell’esaltazione (o/o) degli opposti.
Questo è un tempo assai interessante, sfidante. Le complessità aumentano: se aumentano i rischi, crescono anche le opportunità; se aumentano le conoscenze, crescono anche le ignoranze.
Di fronte agli estremi, dovremmo tutti fermarci a riflettere sulla inter-in-dipendenza. C’è bisogno di visionari. Tutti coloro che si occupano di nuove prospettive planetarie, che guardano al futuro dell’umanità/mondo, dovrebbero preoccuparsi di ragionare, e di immaginare, intorno e dentro ai vincoli che ci liberano, al “comune” nel quale (ri)legare, al progetto di civiltà che potremmo (con)dividere. Sempre tenendo conto che, nel nostro agire, siamo perennemente in cammino e che l’armonia va cercata, costruita nel cammino stesso, mai predeterminabile come l’ordine sognato dell’ ognuno a casa propria o del tutti insieme indiscriminatamente nel villaggio globale.
NOTE
(1) Raimon Panikkar, Vita e parola. La mia opera, Jaca Book, Milano 2010, p. 78