A molti osservatori, quello che si è consumato ieri sotto gli occhi di molti tra la Conferenza episcopale italiana e il governo di Giuseppe Conte pare essere a tutti gli effetti uno strappo. La questione della riapertura delle liturgia, negata “arbitrariamente” dalla Commissione tecnico-scientifica, che nel frattempo pare più intenzionata a dare il lasciapassare ad altre attività ricreative come il jogging, gli allenamenti, il cibo take-away, i musei o le librerie, ha lasciato la bocca amara ai tanti cristiani che aspettano la possibilità di tornare a partecipare alla Messa. La faccenda però è tutt’altro che limitata ai singoli casi che si contrappongono tra loro, ma è ben più ampia. E coinvolge l’idea di uomo e di società che si vuole portare avanti, come spiega in questa conversazione don Davide Milani, per gli amici “il parroco dei giornalisti”, già direttore della comunicazione dell’arcidiocesi di Milano con i cardinali Dionigi Tettamanzi e Angelo Scola, e inizialmente anche di monsignor Mario Delpini, oggi prevosto di Lecco e da tempo presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo.
Don Davide, ieri sera la Cei ha fatto sentire la propria voce contro il governo. Si sta dando scarsa considerazione al culto?
Dal mio osservatorio, quello della prima linea della parrocchia, ho molto apprezzato la linea che invece la Conferenza episcopale italiana ha tenuto in questi mesi. Leale nella collaborazione e nel sostenere tutto quanto era stato chiesto al Paese. Leale nell’intervenire per i più deboli, per i più poveri, con tutti gli stanziamenti economici per la Caritas e per gli ospedali che la Cei ha fatto, cercando sempre un atteggiamento costruttivo. Nella posizione della Cei di ieri sera io non ho visto l’impuntamento di un’organizzazione per tutelare dei presunti interessi. Ma ho visto, dopo mesi di lealtà, il grido di chi mostra che non si è capito lo specifico della nostra natura.
Come andrebbe impostata quindi, a suo avviso, l’intera vicenda?
Secondo me il tema non è tanto la scarsa considerazione al culto, ma è molto più grave. Mi sembra che non si tenga conto dell’uomo nella globalità della sua natura. Il nostro è uno Stato laico ma l’uomo è un uomo che lavora, che si ammala, che deve tutelare la salute, il proprio reddito, il benessere della propria famiglia. Ma che ha anche dei bisogni spirituali, nel senso più ampio del termine. L’uomo ha bisogno di bellezza, di sperare, di credere, di alimentare la propria anima. Quindi tutto il tema della ripartenza non potrà avvenire realmente se non riparte l’uomo prima che il consumatore.
Una questione tanto ampia quanto fondamentale…
Ci stiamo preoccupando di fare ripartire il consumatore, l’uomo che produce e che mette in moto le filiere, ma l’uomo ha bisogno di trovare dei motivi per sperare. Se no per quale motivo il mattino ci si tira giù dal letto per affrontare la produzione della giornata? Se l’uomo non torna a sperare che è possibile ancora vivere insieme, non ci si potrà dare una mano per ricostruire questo Paese.
A cosa richiama la Cei?
La posizione della Cei richiama il governo a guardare l’uomo a tutta la sua totalità. La Cei non sta semplicemente dicendo: questo è il nostro interesse parziale, accontentateci. È uno sguardo che deve tornare ad essere globale sull’uomo. Per questo è importante che riparta anche la cultura o la scuola. Ovviamente è sottinteso, nel rispetto di tutte le norme, in prudenza, con l’impegno di garantire tutto ciò… ma ci mancherebbe altro. Qui nessuno è irresponsabile.
Quali sono le ragioni di questa carenza? C’è una mancanza di visione nel governo, una sottovalutazione superficiale data una cultura sempre meno attento alla fede, oppure è dovuta anche a spinte anticlericali?
Io non ho elementi per vedere tutto questo, ma posso dire due cose. Purtroppo il grande male di questo secolo, e di questi decenni, è la tecnocrazia, cioè il pensare che l’uomo, e la sua felicità, possa essere raggiunta tramite la tecnica. Quindi se abbiamo un problema di salute è la tecnica che lo può risolvere, e secondo questa legge l’uomo per essere felice ha bisogno di norme e interventi. Se la nostra vita è fragile dal punto di vista medico, la tecnica può farci superare i nostri problemi. Nell’economia, la tecnica può fare aumentare il benessere. E come misuriamo la felicità dell’uomo? Con il Pil, con la tecnica applicata alla vita associata.
Una lezione che viene da lontano, ma che si stenta a riconoscere.
Anche in questa emergenza vediamo solo tecnica. Da cittadino, mi sembra di vedere che chi ha retto i fili della comunicazione finora, anche del presidente del Consiglio ieri sera, sia la tecnica. Ma il compito della politica non è applicare una tecnica, la politica ha come scopo il benessere dell’uomo associato alla vita di relazione dentro la città e dentro lo Stato, da cui discende poi il governo di tutti gli altri ambiti. Si è abdicato a questo compito della politica e ci si è ridotti ad applicare una tecnica. Ma nessuna tecnica salverà l’uomo.
Non molti però, purtroppo, paiono preoccuparsene.
Se ci preoccupiamo della salute degli italiani dobbiamo preoccuparci anche della salvezza degli italiani. Attenzione, la salvezza non solo in senso cattolico o cristiano, della vita dopo la morte. Ma anche la salvezza delle relazioni, della felicità, della possibilità delle nostre famiglie di respirare, di vivere e di sperare. La salvezza dei nostri ragazzi che non è solamente perdere o non perdere l’anno scolastico, ma è legata a che futuro gli stiamo dando e mostrando. Fino ad arrivare poi, per i cristiani, come si dice nelle Messe oggi a distanza, che è bene preoccuparci della nostra salute ma anche della nostra salvezza, che il nostro corpo è destinato a finire. Questo è un dato di natura.
Che oggi ha preso ancora più tragicamente la centralità della scena.
Abbiamo appena celebrato la Pasqua che parla di questo, della salvezza dell’anima ma anche del corpo. Questo non vuol dire che ci si può ammalare e morire, ma per fare un esempio laico ho molto apprezzato tutti i medici e gli infermieri, di cui ne ho molte testimonianze, che mentre applicavano tutti i protocolli e facevano tutto quello che dovevano fare per la salute si preoccupavano anche della salvezza, di stringere una mano, di mettere in comunicazione il malato con la famiglia, di fare una carezza. Questa è la salvezza.
Lei viene da un territorio in prima linea anche dal punto di vista dell’emergenza, fortemente colpito. Quindi ha toccato con mano ancora di più che senza un certo tipo di approccio sarà difficile uscire da questo stato di emergenza.
Oggi ho celebrato pochi funerali, solo due, venerdì ne ho fatti sette, sabato tre. La gente muore. Nella Messa che ho fatto il 25 aprile, per la festa di San Marco, ho letto i nomi di coloro che sono morti in città dal 26 di marzo al 24 di aprile. Ho letto 150 nomi di persone morte, Covid-19 o meno non lo sappiamo, ma son quattro volte tanto i morti dell’anno scorso. Quindi il fenomeno qui è grave. Non ha idea di quante persone mi hanno scritto, per questi gesti di ricordare il nome e di pregare, di salvare l’identità di un morto in mezzo a tanti e portarlo davanti alla comunità, di quante mail e messaggi ho ricevuto di apprezzamento. C’è bisogno di non finire in una statistica.
Le persone come stanno reagendo?
C’è la sofferenza della gente di non entrare più in Basilica e al tempo stesso la consolazione che, nel rispetto delle regole dopo un dialogo con le istituzioni, si possa celebrare un funerale al cimitero. C’è un formulario sul libro delle esequie, che permette una liturgia fatta al cimitero senza la Messa, in cui si sta all’aperto in uno spazio ampio, distanziati. Molti riprenderanno le cerimonie col cellulare. Ma quanta speranza dona questa celebrazione? L’uomo non è trattato da numero, da scarto, ma da uomo nel momento più drammatico della sua vita, quello del congedo. Questo va oltre, per chi non crede, ma viene prima per chi crede. Dice della verità dell’umano. La fede dice della verità dell’uomo, non è una credenza o un castello colorato che uno mette in testa per il proprio piacere.
Il comitato tecnico-scientifico sostiene che ci sono criticità insuperabili, e che si potrebbe arrivare al 25 maggio. Lei che ne pensa delle valutazioni dal punto di vista della salute, e quali proposte ha fatto la Chiesa al governo?
Noi abbiamo una grande basilica, quella di San Nicolò nel territorio di Lecco, che tiene duemila persone, e in questi giorni un parrocchiano, che è responsabile della sicurezza di una grande multinazionale che ha impianti in tutto il mondo, si sta occupando delle procedure per come riavviare gli stabilimenti in sicurezza. Ieri abbiamo fatto un sopralluogo e mi ha detto che è una sciocchezza mettere in sicurezza una basilica di questa grandezza. Molto più complicato e quasi impossibile lavorare su impianti di aziende come la sua, mi ha spiegato.
Cosa direbbe al governo, su questo punto?
Vorrei dire da parroco: siamo responsabili anche noi. Il governo ha a cuore la salute dei cittadini? Anche noi abbiamo a cuore la salute della gente, che chiamiamo per nome. Di questo ci si deve rendere conto. Non è che per fare valere il diritto di culto siamo pronti a mandare al massacro o fare ammalare la gente. Noi siamo pronti ad adottare tutte le procedure di sicurezza: un numero massimo di persone, areazione, sanificazione, distanziamento, termo-scanner fuori. Conosciamo i valori della vita, non siamo dei matti irresponsabili. È il no pregiudiziale che fa male.
E non si capisce perché stare in fila in un museo, un supermercato o dentro una libreria sia meno pericoloso che stare dentro una chiesa.
Questo è vero, ma non facciamone una questione in cui si dice loro sì e noi no. La questione è che più si riesce a riaprire quelle realtà che considerano l’uomo non solo come consumatore o produttore, meglio è, altrimenti fa male. Fa male vedere un uomo che solamente consuma o produce. Tutto ciò che invece anima l’umanità dell’uomo farà rinascere il Paese: la cultura, le librerie, i musei, la fede. E noi di questo abbiamo bisogno.
Con questa vicenda, c’è stata una incrinatura dei rapporti tra chiesa e governo?
Io parlo da un osservatorio che è un po’ all’angolo del mondo. Lo stile di rapporto che vedo tra Chiesa e governo non è né di sudditanza né di parallelismi. Ciascuno è libero e sovrano nei propri ordini, e la collaborazione si dà sul bene dell’uomo che è uno solo. Nessuno sogna o ambisce a collateralismi.