Una massima molto nota di Einaudi è conoscere per deliberare. Ciò è particolarmente pertinente adesso dato che occorre iniziare, dopo circa due mesi di lockdown, una fase di graduale e progressiva riapertura, tenendo conto di tutte le cautele da prendere quando si combatte con un nemico invisibile di cui tanto poco si sa.
Ciò ha aspetti etici, medici, economici, finanziari e manageriali. Si è molto discusso dei primi quattro aspetti nella fase di preparazione del Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) sul nuovo avvio alle attività di impresa e non solo. Gli aspetti etici riguardano essenzialmente il senso di responsabilità mostrato dagli italiani durante il lockdown; le valutazioni – credo- convergano. Gli aspetti medici pertengono alle probabilità che “con la riapertura” il contagio del virus riprenda con la violenza e perniciosità di solo qualche settimane fa: anche in questo campo c’è un buon grado di convergenza che spinge alla cautela. Quelli economici riguardano la grave crisi della produzione, dei redditi, dell’occupazione e dei consumi in corso: le stime del Fondo Monetario Internazionale e del governo italiano sono abbastanza simili e dipingono un futuro molto triste. Quelli finanziari pertengono, da un lato, alle difficoltà di migliaia di imprese a continuare ad operare, e, dall’altro, al crescente dubbio sulla sostenibilità di un debito pubblico che nel 2021 rischia di superare il 170% del Pil.
Poco si è parlato degli aspetti manageriali. Almeno in Italia. Una grande società di consulenza internazionale, la Arthur D. Little (creata nel lontano 1886 e con rami in tutto il mondo) ha condotto un’indagine delle reazioni decisionali alla crisi del coronavirus basate su colloqui con 25 amministratori delegati di imprese delle telecomunicazioni, dei trasporti e dei servizi pubblici a Singapore, in Corea ed in Italia. È un lavoro la cui consultazione è, ovviamente, ristretta ma da cui, se lo si legge, si traggono utili implicazioni anche e soprattutto per chi ha funzioni e responsabilità politiche. Una delle conclusioni può sembrare ovvia: i manager asiatici erano meglio preparati perché avevano avuto l’esperienza con l’epidemia di Sars nel 2002-2003. L’altra è meno ovvia: quale che sia il settore e quale che siano il continente ed il Paese, è aumentata l’avversione al rischio e la comprensione che ora si fosse chiamati a decidere non in base a stime probabilistiche ma in condizioni di incertezza (ossia senza potere stime affidabili del quadro di riferimento e delle principali determinanti).
È il nodo centrale della politica, in Italia a livello sia nazionale sia regionale. Per diversi anni mi sono interessato di questo tema. In materia, ho pubblicato due libri – uno con Pasquale L. Scandizzo nel 2003 ed uno con Stefano Maiolo nel 2016 – e diversi articoli su riviste scientifiche internazionali (uno anche su un trimestrale in lingua araba). Ho insegnato la materia alla Scuola Nazionale d’Amministrazione sino a quando, dopo essere andato a riposo per limiti d’età, due direttori dell’istituto decisero – credo in condizioni di “notte e nebbia”, ossia di totale incertezza – che non si trattava di tema utile per i dirigenti pubblici. Ritengo, quindi, di potere avere qualche titolo per parlarne.
In breve, ci sono metodologie, più o meno raffinate e più o meno complesse, per decidere su politiche pubbliche ed anche su singoli investimenti o misure pubbliche in condizioni d’incertezza. La loro applicazione richiede dati ed analisi a volte molto approfondite ma si possono anche applicare scorciatoie.
Tuttavia, una volta presa la decisione (e datosi, se del caso, un margine più o meno ampio per modificarla se appare sbagliata) ci vuole una linea di comando chiara ed una comunicazione trasparente, senza la circolazione di bozze, voci, spifferi e quant’altro. Naturalmente, chi ha la responsabilità di decidere consulta esperti, consiglieri e consigliori tanto quanto ritiene, ma tutti costoro devono restare invisibili e muti. Perché la responsabilità è unicamente del decisore. Unicamente così si infonde agli altri fiducia, elemento essenziale se si è in condizioni di incertezza.
In questi giorni, gli italiani hanno visto due approcci totalmente differenti alle decisioni in campo di graduale e progressiva riapertura dell’economia e della società in condizioni di incertezza: quella del presidente della Regione Veneto (che non conosco – da dieci anni i miei viaggi in Veneto sono unicamente per rapide serate al Teatro La Fenice o al Palazzetto Bru-Zane-Centre de musique romantique française) e quella del governo nazionale.
La prima è stata semplice, lineare e trasparente; “i consiglieri del Principe” sono stati – come è d’uopo- senza volto e senza parola. La seconda è stata una confusa saga (un mini Trono di Spade) in cui tutti (politici e consulenti) parlavano sui giornali e in televisione sostenendo le tesi più varie e più contraddittorie. All’iniezione di fiducia data in Venuto, è corrisposta una dose di sconforto a livello nazionale. Come se non bastasse il coronavirus a darci preoccupazione.
Einaudi aveva altre due massime pertinenti alla situazione: dove sono troppi a comandare nasce la confusione e altro è comandare una cosa, altro è ottenere che si faccia.