Panikkar dice: L’uomo ha bisogno di una comunità e la comunità richiede un organismo vivo, vale a dire istituzioni che, come il sabato, siano a servizio della persona umana. L’uomo ha bisogno, inoltre, di formulazioni dottrinali e di sistemi di pensiero capaci di esprimere il più profondo dell’essere umano, senza pretendere però di essere assoluti né di esaurire il mistero della realtà (1).
Torna il rapporto tra ragione e mistero e, in questo, la necessità di tenere vivo il “mistero istituente” di noi e della realtà. Non c’è soluzione definitiva in questo rapporto se non nel lavoro continuo, e paziente, di relativizzazione della ragione, nel “limitarla” per renderla libera.
Tante volte diciamo che le istituzioni, intese come i luoghi del potere, devono essere vicine ai cittadini, fare in modo di garantire una giusta ed equa convivenza. Tutto questo è fondamentale ma, nella logica di questa (ri)flessione, non coglie – secondo noi – il nodo fondamentale.
Come possiamo intendere l’espressione “organismo vivo” ? Ogni risposta possibile conterrebbe in sé altre domande. Non per sfuggire alla risposta ma l’istituzione andrebbe affrontata in una logica articolata.
L’istituzione come luogo del potere deve inevitabilmente privilegiare la razionalità in luogo del sentimento, la linearità, la causalità e l’ordine in luogo della complessità e del disordine. Ma, se l’istituzione è organismo vivo, occorre tenere (com)presenti gli elementi del movimento-di-realtà in essa.
Così l’istituzione va (ri)pensata, al contempo luogo costituito e istituente. L’unica dimensione dell’istituzione non è separabile: luogo del potere/luogo del progetto. Tutte le dinamiche si (com)penetrano nell’istituzione: quelle che governano l’ordine in quelle che lo (ri)cercano nel disordine. Solo così l’istituzione può essere luogo-del/nel-comune. L’istituzione, dunque, non governa/controlla/domina “del tutto” la totalità della vita: il più è sfuggente e imprevedibile.
Sotto varie forme, viviamo la pervasività del “costituito”. Pur lasciando perdere i periodi dell’emergenza, dove è inevitabile affidarci a chi può dare risposte (l’uomo forte e deciso tanto quanto l’uomo competente), la lotta tra costituito e istituente è ben chiara. Sarebbe l’ora di farli dialogare, unico modo per costruire percorsi resilienti e per non lasciare i nostri sistemi fragili nelle temperie della storia (che, comunque, non cesseranno).
Lo stesso percorso, dice Panikkar, vale per il pensiero. Se abbiamo bisogno di un pensiero forte, necessario in un mondo che sempre di più esprime le proprie complessità, quel pensiero non può essere “sulla” realtà. Quando ci “schieriamo” a favore del pensiero critico, d’intelligence, intendiamo aprire nuove prospettive nel tutto-di-realtà.
È decisivo, anche qui, mantenere la centralità del mistero istituente. Il massimalismo non funziona mai, serve solo ad amplificare una voglia di conquista, di colonizzazione, financo di ciò che non è occupabile e che, sia ben chiaro, è ciò che ci dà vita e che ci mantiene in vita.
Il mondo che viviamo, complice ciascuno di noi, esprime appieno la nostra incapacità di profondità. Fermiamoci, dunque, alla soglia del mistero, facciamone esperienza. Forse, in questo modo, potremmo cominciare a dirci liberi.
NOTE
(1) Raimon Panikkar, Vita e parola. La mia opera, Jaca Book, Milano 2010, p. 38