Ogni giorno papa Francesco ci ricorda, nell’oltre di questa emergenza, i nodi fondamentali del nostro tempo. Perché, dentro ciò che sta accadendo, abbiamo la responsabilità di aprire il nostro pensiero e di riprendere in mano il nostro destino.
Il parlare di “destino comune” dell’umanità comporta la necessaria metamorfosi dei nostri paradigmi e dei nostri comportamenti. L’intervento di Francesco in occasione della Giornata Mondiale della Terra ci porta nella panikkariana “ecosofia” nella quale ciascuno di noi è immerso in una tri-unità inseparabile: Uomo-Dio-Cosmo.
Non siamo semplicemente abitanti della terra ma custodi. Tutto questo, ripetuto infinite volte, dovrebbe farci riflettere sul munus del “comune”. Si tratta di una dimensione che non è concettualizzabile perché, va da sé, è solo vivibile. Ci vuole la consapevolezza che non basta più, nel tempo che viviamo, operare la solidarietà e sollecitare le classi dirigenti a lavorare per l’interesse prioritario dei popoli (il che, sia chiaro, resta decisivo) ma occorre un salto di qualità, la (ri)appropriazione-in-noi del reale.
Cos’è il comune ? Dov’è il comune ? Si dice che la terra è la nostra casa comune. Se questo è vero, non possiamo più permetterci di separare la tri-unità evidenziata sopra. In realtà, la separazione avviene nel nostro atteggiamento che diventa storico in politiche attente solo alla dimensione dell’evidente e non dell’emergente, della quantità e non della qualità, della prosa e non della poesia, del maschile e non del femminile. Nella tri-unità Uomo-Dio-Cosmo tutte queste polarità (con)vivono e ci chiamano a nuove riflessioni; ciò che le tiene insieme è un luogo misterioso, indicibile, inoccupabile, che chiamiamo “comune”.
Se ci caliamo dentro al destino comune scopriamo quanto siano fragili espressioni come “villaggio globale”, qualcosa che richiama una sommatoria di individualità in un Mondo Uno. Abbiamo bisogno di ben altro, del “radicalmente altro”. Abbiamo bisogno di sguardi larghi e profondi, capaci di generare visioni, uscendo dalla pericolosa retorica del sogno tanto quanto del rapporto lineare problema-soluzione. Abbiamo bisogno di visioni. Abbiamo bisogno di recuperare il movimento-di-relazione che fa della storia una storia comune, certo conflittuale ma capace di aprire i sentieri dell’oltre che già ci appartengono nel nostro presente.
(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Relations, Link Campus University)