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Lezione da vivere nell’esperienza

Se c’è una lezione da vivere è di maturare uno sguardo ampio e profondo nell’esperienza. Senza quello sguardo, infatti, continueremo a ritrovarci prigionieri delle nostre certezze disciplinari e consolidate che, pur volendoci spiegare la vita nella sua totalità, ci lasciano fuori dai problemi fondamentali e globali. L’esperienza non può essere (com)presa fuori dalla totalità dell’esperienza stessa. È un tutt’uno del quale ciascuno di noi è parte e che ciascuno di noi porta dentro, mai definitivamente, “incarnandolo” in maniera originale, unica e irripetibile.

Nel metodo-cammino nell’esperienza al contempo apprendiamo/insegniamo. Ambiti non separabili, si alimentano e si limitano vicendevolmente. Ancora immersi in una logica di ruoli (imposti e subiti), continuiamo a pensare che ci sia qualcuno “destinato” ad apprendere e qualcun altro “destinato” a insegnare. Continuiamo a separare, separando(ci).

Eppure, se fossimo davvero realisti, dovremmo accorgerci che – anzitutto in noi – c’è la necessità di (ri)legarci, di (ri)connetterci nella nostra complessità. E questo è il primo passo per (ri)legare un mondo ferito nel profondo, che non (ri)pensiamo insieme.

L’esperienza del mondo è esperienza nel mondo. Essere realisti si legge nell’essere responsabili. Le crisi che viviamo appartengono, in buona parte, o al nostro laissez-faire ai competenti, dimenticata la responsabilità politica che ci appartiene, o a scelte che non tengono conto di metamorfosi-di-realtà che pongono in metamorfosi la decisione strategica.

La lezione da vivere nell’esperienza riguarda la (com)prensione del nostro ruolo-nel-mondo, tri-unitario ai livelli (non separabili) intrapersonale, interpersonale e globale. Perché le sfide che viviamo impattano, contemporaneamente e radicalmente, nei livelli del nostro vivere personale, della (con)vivenza locale/territoriale/continentale e della globalità intesa come ambito planetario. Nulla è separato e nulla è separabile.

La lezione da vivere nell’esperienza ci insegna che la nostra etica “abita”, prima di tutto, nella nostra capacità di mediazione dei rapporti di forza che generiamo e che subiamo e nelle potenzialità progettuali (politiche) che fanno di noi cittadini-persone, agenti politici, testimoni del tempo nel tempo.

L’esperienza, in conclusione, è tentativo e visione. Fuori dalle Certezza di Verità nelle quali vorremmo rifugiarci per rassicurarci sul fatto di aver capito tutto (e che, nella storia, si sono rivelate tragicamente disastrose), vince il dubbio di chi sa che l’esperienza non è esauribile in ragioni di parte. Il mestiere dell’esperienza, infatti, è quello di (com)prenderci e di sfuggirci; realisticamente misteriosa.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)

 



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