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Liberazione, dalle dittature (e chi fa il tifo per loro). Parola di Carmelo Miceli (Pd)

Di Carmelo Miceli

La Libertà, ai tempi del Covid-19, non ha tempo e non ha confini. È un bisogno dell’uomo, una necessità, un diritto da tutelare con responsabili rinunce.

Proprio così: la più grande forma di tutela della Libertà, oggi, è la responsabilità. Solo la privazione responsabile ci renderà liberi.

Attenzione, però, a non confondere la responsabilità con la disponibilità alla sottomissione.

Complice il virus, infatti, tanti, per la prima volta, stanno cogliendo l’occasione per comprendere cosa e come vivono coloro che, da sempre e a prescindere dalla pandemia, sottostanno a regimi che costringono alla miseria e limitano l’autodeterminazione del singolo mediante sistemi tecnologici coercitivi da “Grande Fratello”. Un mix di autoritarsimo e tecnica che rende l’oppressione ancora più insinuante.

Si presenta così, soprattutto alle nostre latitudini, la necessità di riflettere attentamente sull’uso della scienza tecnologica e delle sue applicazioni, sulla sua potenziale ingerenza nella vita privata di ciascuno e sulla potenza devastante di un uso distorto dei dati.

Nel giorno della Liberazione occorre avere il coraggio di riconoscere che, per la sua capacità di controllare e condizionare la vita delle persone, la tecnologia è uno dei nuovi teatri di scontro globale, e che ogni scelta che afferisce all’uso della tecnologia e dei dati implica risvolti che possono stravolgere l’orientamento geopolitico nazionale, con conseguenze immediate e dirette anche sulla declinazione e sui limiti invalicabili della Libertà di un popolo.

Attenzione quindi a sottovalutare e minimizzare l’azione di coloro che ricoprono funzioni pubbliche e strizzano l’occhio a modelli di democratura nei quali anche il voto popolare è fortemente condizionato; attenzione a sminuire le uscite mediatiche, apparentemente sgangherate, di quegli aspiranti leader politici che, tornati dalle vacanze, avvertono la necessità di invocare e auspicare una sudditanza coloniale dell’Italia a regimi che riescono a unire il peggio del capitalismo e dello statalismo.

Nell’azione di costoro non c’è sciatteria o superficialità. C’è il tentativo subdolo, scientemente maldestro, di modificare e ribaltare equilibri sovranazionali, in spregio alla storia del nostro Paese e a quei valori di democrazia e Libertà per i quali, settantacinque anni fa, migliaia di cittadini sacrificarono la propria vita.

La Festa della Liberazione, dunque, non è solo affar nostro. Non è un affare soltanto italiano. Non è semplicemente una tradizione. Non è l’annuale commemorazione di qualcosa e qualcuno. Mai come quest’anno la Festa della Liberazione ha un valore globale: è e deve essere l’occasione per ricordare cioè che ci ha unito e ci unisce ai popoli che hanno lottato e ancora lottano per il diritto di parola, al culto e all’espressione del pensiero politico.

La Festa della Liberazione deve essere l’occasione per ritrovare nella Libertà la stella polare dell’agire politico.

In memoria di chi non c’è più, a tutela di chi c’è e di chi deve ancora venire.



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