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Benvenuti nel mondo insicuro. Consigli per l’uso dal Gen. Camporini

Ci sarà “un mondo prima” e “un mondo dopo” il coronavirus, e quello “dopo” sarà sicuramente meno sicuro. Le organizzazioni internazionali usciranno indebolite dalle pandemia, mentre potenze non democratiche che possono gestire meglio l’emergenza troveranno spazi per affermarsi. L’Unione europea, nel frattempo, dovrà avere “il coraggio” di ripensarsi, mentre l’Italia avrà bisogno di preservare i settori “ad altissima tecnologia”, come quello dell’aerospazio e difesa. Parola di Vincenzo Camporini, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), già capo di Stato maggiore della Difesa, che Formiche.net ha sentito per immaginare i possibili effetti globali, europei e italiani della pandemia da Covid-19.

Generale, si aspetta un mondo più insicuro dopo l’emergenza coronavirus?

Sì, perché stanno venendo meno strutture multinazionali e istituzioni sovranazionali che prima della pandemia avevano aiutato a controllare le crisi. Ora, c’è più di qualche dubbio sul futuro di tali organizzazioni, quantomeno sulla loro reale ed efficace operatività. Lo notiamo anche negli impegni all’estero.

Ad esempio?

In Iraq, l’addestramento delle forze governative e di quelle curde è attualmente sospeso. Tra l’altro, si tratta di un compito che, dalla responsabilità della Coalizione internazionale anti-Isis, sta passando alla Nato, anche se al momento non si vede concretizzazione che ci si stiamo muovendo in tale direzione. Anche in Afghanistan ci stiamo predisponendo per ridurre l’impegno, ma la pacificazione dell’area non pare migliorata, anzi.

E il Covid-19 può peggiorare la situazione?

Sì. Quando l’impegno comune viene meno, poiché ognuno si occupa di curare ferite interne o sviluppa percezioni differenti, la sicurezza generale inizia a decadere. In questo quadro, i governi che hanno una certa potenza economica e militare, affiancata dalla giusta spregiudicatezza, sono in grado di guadagnare posizioni, approfittando di spazi lasciati aperti.

Con Michele Nones, avete sostenuto che Paesi come Russia e Cina usciranno meglio dalla crisi rispetto alle democrazie occidentali. Perché?

Le democrazie hanno tantissimi pregi, ma anche qualche problemino in termini di rapidità ad assumere decisioni e di capacità di implementarle. In situazioni d’emergenza, un’autocrazia come la Cina può decidere cosa fare rapidamente. Può chiudere un’intera regione con milioni di persone senza sentire il parere degli esperti o ascoltare la società civile. Lo stesso discorso si può fare con la Russia. A volte, la rapidità decisionale e la pervasività degli apparati governativi favorisce la gestione emergenziale.

Prima ha citato le organizzazioni internazionali che stanno venendo meno. C’è anche l’Unione europea tra queste?

Direi di sì. L’Unione europea sta uscendo discretamente male dall’emergenza coronavirus. La spaccatura tra nord e sud è diventata dirompente. Si stanno palesando attività per tentare di ricucire, ma la realtà è che qualcosa si è strappato. Magari riescono a rammendare lo strappo, ma una veste rammendata non sarà mai bella come prima.

Cosa fare allora?

Se ci fossero leadership coraggiose, si potrebbero mettere in discussione degli elementi che finora hanno agito da freno. Si potrebbe individuare una qualche forma di coagulazione di alcuni Paesi all’interno dell’Ue, qualcosa di teoricamente fattibile sin da subito.

Un’Unione rafforzata tra alcuni membri?

In questa fase c’è bisogno di idee nuove e del coraggio di implementarle, abbandonando l’idea di dover aggiustare il vecchio, che ha già dimostrato di non essere più adeguato. Il problema è che non si intravedono all’orizzonte leadership coraggiose.

La tanto discussa Difesa comune può essere un’occasioni di rilancio per l’Unione europea?

A patto che ci siano le basi di convergenza politica tali da poter rendere utile uno strumento comune. Servono accordi politici in base ai quali l’integrazione delle forze risulti poi un semplice esercizio tecnico, di per sé abbastanza facile. Come predicavo quando ero in servizio, abbiamo combattuto insieme e continuiamo a operare fianco a fianco quotidianamente, in perfetta simbiosi e armonia, con militari di altri Paesi; che siano americani, albanesi o inglesi non fa differenza. Quando c’è una base politica, procedere tecnicamente è meno difficile. Certo, il discorso è diverso per l’aspetto dell’approvvigionamento e dell’industria, dove in una dimensione di consolidamento occorre evitare le diseconomie che derivano dalla mancata integrazione del mercato comune della difesa.

Intanto, in Italia riemergono alcune proposte che coinvolgono il budget per la Difesa. Gianluca Ferrara ha scritto di acquistare meno F-35 e sottomarini in favore di ospedali. Che ne pensa?

Proposte del genere, in questi momenti, hanno sicuramente un grande appeal nei confronti dell’opinione pubblica. Eppure, è opportuno ricordare che la ricchezza del Paese è costruita sulla capacità di trovarsi a un adeguato livello tecnologico, così da mantenere nei confronti di altri Paesi quel vantaggio tecnologico che ci consente di esportare e di guadagnare il pane e il companatico. Penalizzare un’industria ad altissima tecnologia (che produca bottoni, armi o respiratori) non sembra la strada giusta.

Tra l’altro, proprio contro il Covid-19 le Forze armate stanno mostrando molte delle loro capacità ed eccellenze.

È la quarta missione delle Forze armate: la salvaguardia delle libere istituzioni e i compiti per pubblica calamità e casi di straordinaria necessità e urgenza. È doveroso constatare l’ammirevole capacità di contribuire in questa emergenza, ma anche ricordare che essa risponde pienamente a quanto previsto dalla legge. Le Forze armate sono uno strumento essenziale nelle mani del decisore politico in casi come questo. Diverso è pensare di ricorrere loro ogni qualvolta le organizzazioni civili, a causa di loro mancanze, dimostrino problemi ad assolvere le rispettive funzioni.

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