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Non sprechiamo l’occasione. Un piccolo appello

Di tanto in tanto capita, nella nostra storia, di poter avere occasioni di (ri)partenza. I periodi di difficoltà aprono nuove strade. Basta avere l’umiltà di vederle.

La pandemia nella quale siamo immersi ci mostra il dolore, indicibile ma solo vivibile, e ci dà la forza di costruire occasioni.

Cosa dovremmo accogliere ?

Anzitutto, noi crediamo, l’occasione del “silenzio istituente”. Misterioso, il silenzio nelle nostre città ci mostra una bellezza che raramente viviamo e respiriamo. C’è, nel traffico che non c’è, il segno di una “estetica sostenibile”. Ragioniamo, nel futuro già presente, di una bellezza da valorizzare. Non fermiamoci a ciò che è evidente.

Poi, per esperienza quotidiana, dovremmo accogliere gli spunti creativi. A ragionare e discutere con i più giovani, come chi scrive fa ogni giorno, si sente in loro il bisogno non solo di esprimersi su quanto sta accadendo ma di portare fuori, e di con-dividere, il vero valore della forza della loro età. C’è, in giro, un disordinato scatenamento che chiama tutti a un lavoro di sua valorizzazione e, al contempo, di superamento della razionalità ordinatrice. Sono i giovani a regalarci la possibilità di una vera uni/pluri-versitas.

(Ri)scopriamo la “buona” tecnologia. In tutti i campi, la tecnologia si sta mostrando un alleato formidabile che, però, va associato alla nostra volontà/responsabilità di esseri umani nel vivere appieno la tri-unità che siamo: uomo/terra/cosmo.

La pandemia nel cambio di era ci mette di fronte alle possibilità di un (ri)pensamento sistemico. Lo capiremo grazie al COVID-19 ? Cambieremo strada, esattamente come  non abbiamo fatto a seguito della pandemia finanziaria del 2007/2008 ?

Dobbiamo metterci, ciascuno con le proprie possibilità, al servizio di un qualcosa di più grande di noi. Non per raggiungere un mondo perfetto, fortunatamente irraggiungibile, ma per (ri)trovare le vie di una progettualità necessaria. Andiamo dicendo, con umiltà, che – ponendo al centro il misterioso “silenzio istituente” e l’educ-azione e la form-azione – è tempo di lasciare spazio a un approccio di vita fondato sulla relatività e sul pluralismo. Fuori da ogni forma di “massimalismo”, è bene cominciare a leggere i segni delle società-che-saremo.

Nell’andare oltre gli slogan che servono solo a rassicurare chi li inventa e chi li usa, il tema è (ri)tornare a pensare. Siamo invitati, e val bene esserne consapevoli, a considerare i nodi storici che abbiamo di fronte e, se non a scioglierli del tutto e definitivamente, quanto meno a non sprecare l’occasione di questo tempo. Se ieri ponevamo il punto di una riforma dell’università è perché non può che  essere in quegli anni fondamentali che accompagnano la crescita adulta che si deve lavorare a far maturare un pensiero critico. E questo, sia chiaro, vale sia per gli studenti sia per i docenti. Gli spunti creativi di cui si parlava prima sono un fuoco che va alimentato in chiave progettuale.

Dobbiamo abituarci al (con)vivere nell’incertezza, a modulare le nostre vite in ciò che, per nostra mano, si rivela progressivamente come l’evidenza della interrelazione planetaria. È questo che pone in metamorfosi tutte le nostre certezze, che ci mostra l’impossibilità di un ritorno in un ordine che apparteneva a un mondo che non c’è più.

Principi/valori, cultura, politica e istituzioni, economia, diritto. Tutto questo va (ri)pensato e non “un pezzo alla volta” ma insieme, tenendo finalmente conto del fatto che nessuna di quelle dimensioni, e nessuna delle dinamiche che emergono, sono e saranno separabili. Ogni discorso che non tenga conto di questa complessità è destinato a de-generare e a farci de-generare. Attenzione, dunque, a leggere il cambio di era attraverso le categorie separate che ci fanno comodo per rincorrere le nostre piccole ambizioni, escludendo i problemi fondamentali e globali.

Qualcuno dirà che in queste parole c’è poco pragmatismo ma, ci domandiamo, cosa c’è di più pragmatico del pensiero ? Certo, non sfugga che la riflessione va portata su un piano nel quale (con)vivono due livelli: del governare, sapendo che non si può fuggire dalle risposte a chi soffre, a chi vive in difficoltà, per superare le diseguaglianze, per rafforzare la convivenza, per costruire relazioni internazionali che davvero affrontino le grandi questioni che l’umanità vive; dell’immaginare, del consolidare visioni, per alimentare le risposte attraverso continue domande che ci vengono da una storia che non finisce.

In questi due livelli, parti di uno stesso piano e dunque non separabili, c’è il campo della nostra responsabilità di “classi dirigenti”, espressione che va (ri)pensata in un’alleanza strategica tra cultura umanistica e cultura scientifica e tra cultura-scienza-economia-politica-amministrazione-regolazione.

Non sprechiamo l’occasione, non spegniamo il fuoco creativo che i più giovani c’insegnano.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)

 


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