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La scuola, Azzolina e poi… Le pagelle di Ocone

Gli effetti, tutti negativi checché se ne dica per indorare la pillola, del coronavirus sono sistemici: all’emergenza sanitaria presto se ne aggiungerà una economica. Poi c’è un grosso problema (che chissà perché fa meno capolino) che concerne le nostre libertà e chi ne ha diritto di disporne. Potebbe esserci persino (soprattutto se sottovalutato) un grosso problema sociale e di ordine pubblico (facciamo gli scongiuri). Per intanto, è venuto fuori negli ultimi giorni un problema altrettanto serio, quello concernente la scuola e la formazione.

Ieri il governo ha provato a dare qualche risposta con il solito decreto “salvo intese” che, per la sua parte, è stato illustrato in conferenza stampa da Lucia Azzolina, il ministro della Pubblica Istruzione nominato poco prima che l’emergenza scoppiasse, in luogo del dimissionario Lorenzo Fioramonti. Chi scrive non pensa che, per occupare la poltrona a viale Trastevere che fu di Benedetto Croce (che fra l’altro non era laureato) e di Giovanni Gentile, bisogna essere dei pozzi di scienza.

Anzi, rettori e uomini di formazione, viziati da una visione settoriale e corporativa, non hanno mai dato generalmente buona prova di sé una volta al governo. Meglio certamente un politico, con una buona dose di gavetta e una capacità di comprendere gli uomini e il mondo e di trarne le dovute sintesi. Azzolina purtroppo non ha queste qualità, che forse gli si formeranno col tempo grazie alla testardaggine che è propria di certe siciliane dell’Est. Certo, ce la mette tutta ma trasmette l’immagine di un pesce fuor d’acqua, di una persona sulle cui spalle è caduto all’improvviso un peso più grosso di quanto esse possano sopportare.

Fatto sta, che il suo compito ieri in conferenza stampa era veramente improbo: doveva trasmettere sicurezze ai genitori e agli studenti a partire da un decreto che, come è solito di questo esecutivo, non dice agli italiani parole di verità e ipotizza addirittura, nella fattispecie, due soluzioni per gli esami di terza media e per la maturità. Quasi fossimo, è stato detto, al Lascia e raddoppia: busta a o busta b? Lo scenario, abbastanza inverosimile, è che si torni a scuola entro il 18 maggio. L’altro, più probabile, è che ciò non avvenga.

A quel punto, la maturità consisterà in un lungo colloquio online e alla fine della scuola media basterà invece inviare una tesina online e gli studenti saranno ammesi all’anno successivo. “Ammessi e non promossi” e “non è un sei politico”, si è apprestata a dire la ministra, già prevedendo quelle che potevano essere le critiche alla decisione. Per tutta una serie di motivi (legali, di eguaglianza di condizioni di fruizione della didattica online, ecc.) non c’erano probabilmente altre soluzioni.

Bene, ma, anche in questo caso, per favore, pensiamo già da ora al dopo, se vogliamo dare un senso a questa drammatica prova… “Ne usciremo cambiati”, dicono in molti in questi giorni. E ancora; “nulla più sarà come prima”. Bene! Ma che sia così seriamente. Nel senso, voglio dire, di non dare una ipocritica curvatura moralisica a queste affermazioni (l’uomo è quel che è e fin che ci sarà sulla faccia terra sarà sempre un impasto di bontà e malvagità). Ripensiamo invece seriamente a una riforma seria dello Stato e resettiamo il Paese.

Era un’esigenza avverita da tempo che non siamo riusciti a realizzare. Ora i fatti ce la impongno. In questo senso non si può non ripartire dalla scuola. Perché se il problema dell’Italia è anche e soprattutto un problema di classi dirigenti, il primo e più importante gradino per formarle è quello che si scala fra le mura degli edifici scolastici. Siamo contenti che proprio ieri il decreto abbia sbloccato l’assunzione di 4.500 docenti, ma il problema è anche culturale e non solo di risorse. Non vorremmo più sentirci dire, in barba a duemila e cinquecento anni di storia, che la didattica online è meglio della tradizionale (ah, le parole di verità).

Senza il contatto diretto, quasi corporeo, fra docenti e discenti, e senza la vita sociale che si ha in aule e immediatamente fuori, un progetto educativo serio semplicemente non è. Diciamo che è una necessità, un male minore di cui per fortuna disponiamo. Se non riscopriamo il valore della cultura classica, di una formazione seria, di una consapevolezza storica e patriottica dei nostri valori, non creeremo mai una Politica vera e quindi non ricostruiremo mai il nostro Paese. Troppa fuffa si è sedimentata in questi anni nei programmi e nella didattica scolastica. E tutto questo non è affatto slegato dalla realtà che viviamo. Facciamoci un serio esame di coscienza e, facendo finta che le follie pedagogiche e politiche di questi anni non ci siano state, proviamo a dire: heri dicebamus.

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