New York – Tutti contro Donald Trump. La decisione del presidente americano di sospendere i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della Sanità per il suo presunto sbilanciamento in favore della Cina ha sollevato un’ondata di critiche planetaria. Dagli alleati europei a Russia e Cina, dalle Nazioni Unite a Bill Gates, tutti hanno partecipato all’arringa accusatoria. Il tycoon, da parte sua, tira dritto e ribadisce che l’Oms ha insabbiato assieme a Pechino l’emergenza, causando molte più vittime, e c’è chi come lui – più o meno apertamente – ritiene che l’agenzia dell’Onu abbia sbagliato. Tuttavia, il pensiero unanime è che non sia questo il momento di tagliare i fondi, anche perché gli Stati Uniti sono il primo finanziatore con circa 400-500 milioni di dollari l’anno, pari a un decimo del bilancio.
A puntare il dito contro Washington ci sono in primis Russia e Cina: è “segno di un approccio egoista”, ha osservato Mosca, mentre Pechino si è detta “seriamente preoccupata” e ha invitato gli Usa “ad adempiere ai loro doveri”. Anche l’Ue tuttavia, tramite l’Alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell, ha fatto sapere che “non c’è ragione che giustifichi questa mossa in un momento in cui gli sforzi” dell’organizzazione “sono necessari più che mai per contribuire a contenere e mitigare la pandemia”. Posizione ribadita da Londra, Berlino e Parigi (pur se il ministro degli esteri francese Jean Yves Le Drian ha parlato di “mancanze” dell’Oms nella gestione dell’epidemia). Dal Palazzo di Vetro il segretario generale Antonio Guterres ha lanciato un appello a non creare divisioni, spiegando che “non è il momento di ridurre le risorse per le operazioni dell’Oms o di qualsiasi altra organizzazione umanitaria nella lotta contro il coronavirus”. “Ora è il momento dell’unità”, ha precisato.
Nel coro di critiche spicca il nome di Bill Gates, il quale ha affermato che “sospendere i finanziamenti durante una crisi sanitaria mondiale è pericoloso. Il loro lavoro sta rallentando la diffusione del Covid-19 e se tale lavoro venisse interrotto nessun’altra organizzazione potrà svolgere le stesse attività”. Dito puntato contro il presidente ovviamente anche dagli avversari democratici, secondo cui Trump sta provando “a scaricare la colpa dei suoi fallimenti”. Non e’ escluso, però, che la contrapposizione con i detrattori in patria possa permettere a The Donald di mettere a segno l’obiettivo di ricompattare la base elettorale in vista delle elezioni di novembre.
E se la decisione del titolare della Casa Bianca di interrompere i finanziamenti è stata la punta dell’iceberg nel duro braccio di ferro con l’Oms, secondo il sito Politico la deferenza dell’agenzia Onu nei confronti del Dragone non è una sorpresa, ma fa parte di una campagna ad ampio raggio da parte del paese asiatico per rafforzare le sue posizioni in tutto il sistema Onu. Qualche esempio? Dal 2019 la Fao è guidata da Qu Dongyu, ex vice ministro dell’Agricoltura cinese, e l’anno prima Zhao Houlin, che ha iniziato la sua carriera al ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni di Pechino, ha ottenuto il secondo mandato quadriennale come segretario generale dell’International Telecommunication Union, organo cruciale che stabilisce gli standard tecnici per le reti di comunicazione. Ruolo che avrebbe usato per rafforzare la posizione di Huawei come fornitore di apparecchiature per il 5G in tutto il mondo.
Nel 2017, invece, Guterres ha affidato a Liu Zhenmin, ex vice ministro degli Esteri cinese, una posizione chiave nel Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite. Mentre l’International Civil Aviation Organization – ente della galassia onusiana che regola i viaggi aerei globali – è stata accusata di tenere Taiwan fuori dal giro sui protocolli per il Covid-19: a guidarla è il cinese Fang Liu. Una scalata che in parte riflette la sapiente strategia diplomatica di Pechino come potenza in crescita, ma agevolata – sottolinea Politico – dal vuoto lasciato dagli Usa, che con il bilateralismo ortodosso praticato da Trump nelle relazioni internazionali hanno fatto venir meno il ruolo di leader nelle istituzioni multilaterali che la prima potenza al mondo aveva mantenuto sino alla reggenza di Barack Obama.