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Passenger name record (Pnr) contro il Covid-19. Così Tricarico guarda alla fase 2

L’imperscrutabilità e l’indefinitezza della cosiddetta fase due del Covid-19 comporta una simmetrica impossibilità a progettare provvedimenti appropriati alle verosimili limitazioni che contraddistingueranno lo scenario post emergenziale. E tuttavia, in qualcosa ci si può comunque portare avanti, pur in assenza di tutti i parametri, delle bocce ferme insomma.

Ad esempio è verosimile pensare che il nostro Paese, con il riavvio delle attività produttive, si troverà a gestire le proprie frontiere imponendo limitazioni differenziate a seconda delle provenienze e di altri parametri e dovrà al contempo controllare il rispetto delle norme. Non dovrà accadere, tanto per intenderci ciò che accadde quando agli inizi di febbraio si impose il divieto di approdo dalla Cina e non si curò che si potesse arrivare in Italia dalla Cina attraverso scali intermedi.

In una condizione del genere, un aiuto risolutivo potrebbe essere fornito dalla procedura Pnr (Passenger Name Record) nata ed approvata in ambito europeo quale supporto nella lotta al terrorismo e ad altre forme di criminalità, e forse riconvertibile ora alla lotta alla pandemia. La questione è in via concettuale molto semplice, così come – ritengo – applicabile nella pratica quotidiana a venire; purché fin d’ora ci si metta a tavolino per riprogrammare il sistema di controlli, una riprogrammazione che comunque potrà tornare utile in futuro per emergenze analoghe.

In estrema sintesi, il Pnr è ora in grado di identificare in tempo reale il profilo di pericolosità di ogni passeggero aereo (ed in un prossimo futuro anche marittimo), confrontando i dati personali acquisiti dalle prenotazioni del volo, con un database di polizia ed intelligence. In altre parole, ogni volta che un individuo si appresta a compiere un viaggio con un aereo commerciale facendo una prenotazione o acquistando un biglietto, scattano su di lui in maniera automatica alcuni controlli che mettono in relazione i suoi dati personali con le informazioni di cui si dispone, in relazione alla sua pericolosità sotto il profilo delle potenzialità terroristiche o criminali.

Ora, se il sistema riuscisse a fornire, sempre in tempo reale, il profilo di rischio “sanitario” che ogni viaggiatore porta con sé, ossia alla sua capacità di diffondere un virus, il gioco sarebbe fatto. Si tratterebbe di individuare i dati da inserire nel sistema (se ha obbligo di quarantena, se proviene da un Paese non autorizzato, se è un soggetto immune e così via) in modo che ogni qualvolta egli si accinga a compiere un viaggio, nel Paese di destinazione scatti un allarme con i conseguenti provvedimenti cautelativi.

In questo modo, neppure facendo il giro del mondo e dei più disparati scali, un soggetto malintenzionato potrebbe sfuggire all’individuazione e alla sanzione, dato che nel Paese di destinazione si saprà tutto su di lui, persino il posto occupato a bordo o la posizione in fila per il check-in, la carta di credito con cui ha pagato, il percorso di volo completo e così via. Penso che in un momento in cui sarà facile perdere il controllo dei flussi in ingresso per la geometria già ora impazzita delle restrizioni che ogni Paese impone (restrizioni che col passare del tempo sono verosimilmente destinate a mutare o ad essere frequentemente aggiornate) ricorrere ad una tecnologia già matura “o quasi’, quale quella del Pnr sia un’ipotesi da prendere in seria e sollecita considerazione.

Semmai, chi dovesse metter mano al problema dovrà tener ben presente un ostacolo che sicuramente emergerà, quello della privacy. Vale la pena ricordare in proposito che la procedura Pnr, nella sua attuale versione, è rimasta ferma per circa cinque anni al Parlamento europeo per capziosi e inconsistenti problemi di tutela dei dati personali. Solamente le stragi del Bataclan a Parigi promossero lo sblocco del provvedimento. Vi è da sperare che il Covid-19 abbia le stesse potenzialità di persuasione.

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