La crisi pandemica ha dato un rilievo ancora maggiore a un problema che già era evidente da anni, se non decenni: la qualità sempre più scadente delle classi dirigenti, e in particolare del ceto politico, nelle democrazie avanzate.
La questione ha radici profonde, ed è con ogni probabilità una conseguenza delle trasformazioni complessive che hanno interessato la nostra civiltà nell’ultimo mezzo secolo, e ancor di più a partire dal 1989. In un Occidente fortemente centrato sull’individuo e i suoi diritti, nel quale i corpi sociali intermedi si fanno sempre più labili, amorfi, provvisori, formare una classe dirigente solida e coesa, capace di costruire un rapporto di fiducia robusto e stabile nel tempo con le classi dirette non può che essere assai difficile. Come avevano ben compreso, fra gli altri, Christopher Lasch negli anni Novanta del Novecento e T.S. Eliot già nei Quaranta.
Negli ultimi decenni, inoltre, i processi d’integrazione globale hanno sottratto potere agli stati nazionali, mentre le istituzioni politiche rappresentative hanno gradualmente perduto di rilievo a vantaggio di istituzioni o non rappresentative o del tutto estranee alla sfera pubblica: corti di giustizia, soggetti economici, tecnocrazie nazionali e internazionali. Nelle democrazie si è ingenerato così un circolo vizioso per il quale la perdita d’importanza del ceto politico nazionale e lo scadere della sua qualità si sono venuti alimentando a vicenda.
Questa non è una storia soltanto italiana, ma in Italia il fenomeno si è senz’altro manifestato in forme ancor più macroscopiche e visibili di quanto non sia accaduto altrove. Tangentopoli ha rappresentato lo snodo centrale di questo processo: un momento di complessiva, violenta delegittimazione della politica e dei politici che ha portato al collasso di quasi tutti i partiti – ossia delle istituzioni che per più di un quarantennio, nel bene o nel male, avevano garantito la selezione dell’élite pubblica.
Da allora l’Italia ha disperatamente cercato degli strumenti alternativi di formazione del ceto politico. Con Berlusconi ha sognato che a far politica potessero essere i manager. Con una parte della sinistra, che dovessero farla i giudici. Con Monti, che la soluzione fosse nelle mani dei tecnocrati europeisti. Con Renzi, che l’Italia sarebbe stata salvata dai trentenni. Ascoltando Grillo e Casaleggio s’è illusa infine che di una classe politica non ci fosse proprio più bisogno, poiché grazie a internet il potere poteva essere affidato direttamente ai cittadini qualunque.
Al termine di questa vicenda ormai ventennale e assai infelice, sotto i duri colpi del Covid-19, sta diventando oggi sempre più evidente che di una classe politica, dotata di una specifica sapienza politica e capace di utilizzare le competenze tecniche senza farsene dominare, non si può in alcun modo fare a meno. Purtroppo, però, una classe politica non la si crea dal nulla né in un giorno. E la furia sconsiderata con la quale l’Italia, da Tangentopoli in poi, ha demolito tutti i centri nei quali l’élite pubblica veniva formata e selezionata, rifiutando inoltre l’idea che la politica avesse bisogno di risorse specifiche per svolgere la propria funzione, impone ora al Paese un prezzo assai salato.
È molto tardi per correre ai ripari, ma correre ai ripari è l’unica cosa che possiamo fare. E mentre attendiamo che all’interno della sfera pubblica si ricostruiscano delle strutture di formazione e selezione del ceto politico, per il momento l’unica soluzione che abbiamo è utilizzare gli organismi che per missione istituzionale sono deputati alla formazione: le università. Tocca oggi agli atenei insomma – seguendo per altro gli esempi in alcuni casi più che secolari di istituzioni come Sciences Po e l’Ena in Francia, o King’s College e la London School of Economics nel Regno Unito – il compito di sostenere la riqualificazione della classe politica.
La Luiss School of Government è nata dieci anni fa per dare un contributo a quest’operazione vitale. E in particolare con l’intento di riconciliare tecnica e politica, formando tecnici dell’azione pubblica in grado di comprendere la politica e politici dotati di solide competenze tecniche. Il corso executive in Governo che prende avvio la settimana prossima (e per il quale è ancora possibile presentare domanda di ammissione entro domenica 3 maggio), erogato prevalentemente online, è uno strumento ulteriore col quale la Luiss School of Government spera di poter sostenere la riqualificazione del ceto politico locale e nazionale attraverso una formazione multidisciplinare specificamene mirata a un pubblico di professionisti.