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Venezuela in crisi. E la Russia fa da scudo

Il prezzo del petrolio è ai minimi storici, ma questo non impedisce ai governi di Russia e Venezuela di stringere ancora di più i loro legami, anzi. Il presidente russo, Vladimir Putin, e il leader del regime venezuelano, Nicolás Maduro, hanno sostenuto una conversazione telefonica per decidere come gestire congiuntamente l’epidemia di coronavirus, e il Cremlino si è impegnato a inviare ancora materiale sanitario al Paese sudamericano.

Ad oggi, in Venezuela ci sono 256 casi confermati di coronavirus e nove persone sono morte a causa del virus. La Federazione internazionale della Croce Rossa ha effettuato un nuovo invio di aiuti umanitari in Venezuela il 13 aprile: 45 tonnellate di aiuti con forniture mediche e prodotti per l’igiene. Prima ancora, l’8 aprile, le Nazioni Unite avevano inviato 90 tonnellate di materiale sanitario per i venezuelani.

Il ministro degli Affari esteri venezuelano, Jorge Arreaza, ha anticipato il piano su Twitter: “I presidenti Nicolás Maduro e Vladimir Putin hanno sostenuto oggi una conversazione telefonica e hanno parlato degli sforzi congiunti sul #Covid-19, hanno condannato l’applicazione delle sanzioni e hanno accordato di consolidare il livello strategico della relazione bilaterale”.

In un comunicato ufficiale, il governo del Venezuela ha dichiarato che oltre agli invii, il presidente Putin ha espresso la necessità di “un maggior coordinamento tra i team di medici e scientifici di entrambi i Paesi”. Quest’anno “si deve avanzare nella consolidazione a livello strategico dei rapporti in tutte le aree di lavoro per lo sviluppo”.

L’IMPEGNO RUSSO

Il Cremlino ha voluto sottolineare che la telefonata è stata un’iniziativa di Maduro, e ha aggiunto che il leader venezuelano ha voluto ringraziare il governo russo per l’invio del materiale sanitario, tra cui molti test diagnostici.

Mosca e Caracas hanno insistito sulla proposta presentata al G20 di creare “corridoi verdi” per l’entrata di forniture sanitarie nei Paesi sotto “sanzioni e guerra commerciale” durante la pandemia. Ma, come ha spiegato il segretario di Stato, Mike Pompeo, i beni necessari per risolvere la crisi coronavirus non sono sotto sanzioni, “non lo sono stati, non lo sono e non lo saranno mai. […] L’aiuto umanitario per i venezuelano c’è sempre stato e continuerà ad esserci”.

VOTO CONGELATO

La pandemia coronavirus in Venezuela ha introdotto un nuovo fattore nello scenario politico che cercava un’uscita elettorale per la crisi umanitaria, sociale, economica ed istituzionale. Maduro ha già detto che le elezioni legislative, programmate per la fine dell’anno, dovranno attendere, come è successo con le elezioni regionali. “A questo punto non so se ci sarà il voto – ha dichiarato il leader del regime in un programma di radio -. Abbiamo questa priorità (la pandemia, ndr) e sarebbe irresponsabile da parte mia dire che ci saranno elezioni. Ci sono la Sala Costituzionale del Tribunale Supremo di Giustizia e l’Assemblea Nazionale Costituente, in caso ci sia bisogno di deliberare leggi e prendere decisioni”.

Ugualmente, con la quarantena, prolungata fino al 13 maggio per ora, il regime ha sotto controllo l’ordine pubblico, vietando ai cittadini la possibilità di protestare. Tuttavia, il lockdown non è un’opzione a lungo termine per il Venezuela, dal momento che più del 60% della popolazione vive di stipendi giornalieri e il 30% riceve denaro dall’estero dai famigliari, anche loro con finanze colpite per l’isolamento.

SARÀ LA FINE DEL REGIME?

In Venezuela, come nel resto del Sudamerica, il coronavirus mette a rischio la salute, ma anche la capacità di sopravvivenza, di milioni di persone. L’iperinflazione che colpisce l’economia venezuelana da anni può solo aumentare in questi tempi di pandemia.

A questo si è aggiunta la mancanza di benzina, peggiorata con il ritiro della compagnia statale Rosneft, principale socio del governo di Maduro.

La decisione del regime di esaminare i contratti con Rosneft, insieme alle nuove sanzioni degli Stati Uniti, hanno spinto la petrolifera russa a chiudere le operazioni sul territorio venezuelano e procedere alla vendita delle azioni.

Per Michael Penfold, membro del Centro Wilson con sede a Caracas, la fine di Maduro potrebbe essere vicina. L’esperto ha detto al quotidiano americano The New York Times che “il regime è in modo sopravvivenza. […] Il Paese è entrato in un equilibrio molto fragile che sarà sempre più difficile mantenere”.


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