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Regime comunista e fake news. Non riguarda solo Hong Kong. Parla Fallon

Come impatterà l’epidemia di coronavirus sulla Cina e i suoi obiettivi espansionistici? In particolare su Hong Kong e Taiwan? Che ruolo potrà avere la Nato? Formiche.net l’ha chiesto a Theresa Fallon fondatrice del Centre for Russia Europe Asia Studies di Bruxelles, che attualmente dirige.

Che effetti potrebbe avere il Covid-19 sulle mire espansionistiche di Pechino? Pensiamo a Hong Kong e Taiwan soprattutto.

Gli arresti della scorsa settimana durante la pausa delle dimostrazioni a causa del coronavirus dimostrano come il regime cinese stia cercando di trarre vantaggi dal lockdown per inasprire la repressione e minare lo Stato di diritto. E le uniche voci critiche verso gli ultimi arresti sono state quelle di Stati Uniti e Regno Unito. Questo atteggiamento però colpisce indirettamente anche Taiwan, che vede ciò che sta accadendo a Hong Kong ma anche i problemi della narrazione di Pechino di “Una Cina due sistemi”, che ormai sembra falsa. La gente a Hong Kong non vuole vivere sotto il regime comunista di Pechino. E così anche chi sta a Taipei, che per questo guarda con attenzione al Porto profumato.

Quali sono gli obiettivi delle campagne di disinformazione di Pechino?

Le campagne di soft power cinese, come quelle che abbiamo visto in Italia, perseguono un duplice obiettivo  interno ed esterno. Sul fronte interno, le autorità cinesi vogliono raccontare al popolo che Pechino ha salvato il mondo dal coronavirus e che la comunità internazionale riconosce gli sforzi di Pechino per affrontare l’epidemia, rafforzando così la legittimità del Partito comunista alla guida del paese. Su quello esterno, cercano di distrarre l’opinione pubblica degli altri paesi dal fatto che la pandemia ha avuto origine a Wuhan, e di trasformare l’immagine della Cina da quella di “untore” a quella di “salvatore” del mondo attraverso la cosiddetta “diplomazia delle mascherine”.

Uno dei social media preferiti dai diplomatici cinesi è Twitter. Come mai?

Penso che per alcuni aspetti abbiano imparato la lezione sbagliata dal presidente statunitense Donald Trump perché vedono come parla direttamente alla gente, come attacca i giornali mainstream e come cerca di controllare la narrazione. E i diplomatici di Pechino fanno lo stesso, ma in più agiscono anche con fake news e bot. Questa pandemia ci sta mostrando come la Cina stia cercando di cambiare il suo modo di raccontarsi positivamente al mondo manipolando la verità attraverso i media e outlet di regime. L’abbiamo visto chiaramente in Italia con le fake news dell’inno cinese cantato dai balconi e l’errata citazione del professor Giuseppe Remuzzi, per fare soltanto due esempi. Il risultato? Quel sondaggio Swg che racconta quanto la Cina sia benvista in Italia in questo momento. Inoltre, questa pandemia segna un importante cambiamento nella messaggistica strategica di Pechino. A fianco dalla propaganda positiva, che mira a creare una buona immagine del paese,  la Cina si è lanciata nella disinformazione, che crea molteplici narrative false per seminare confusione (ad esempio sull’origine del coronavirus). Sembra che stiano imparando da Mosca. Ciò desta preoccupazione poiché Pechino ha molte più risorse per implementare una campagna di disinformazione. Alcuni lo hanno descritto come “superpropaganda”.

L’Unione europea come si sta comportando in questa fase? Come sta affrontando queste minacce?

Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Ue, sta mantenendo una linea diplomatica piuttosto debole. Ma non dobbiamo dimenticare le difficoltà di mettere d’accordo tutti gli Stati membri: ci sono Paesi, come Grecia e Ungheria per esempio, spesso allineati con la Cina che possono minacciare il veto. Borrell ha denunciato la “politica della generosità” della Cina e la “battaglia delle narrazioni” in atto sullo scacchiere mondiale. L’Europa si sta lentamente rendendo conto che non ha a che fare solo con la disinformazione russa, ma anche con quella cinese. Il recente dietro-front dell’Ue sotto pressione di Pechino a proposito di un rapporto sulla disinformazione dimostra che l’Ue ha bisogno di una strategia più chiara su come affrontare l’aggressiva diplomazia cinese.

E quanto alla propaganda russa?

La Russia ha una grande esperienza di propaganda in tutta l’Ue. L’obiettivo è quello di minare il sostegno delle popolazioni al progetto europeo, alle democrazie e alla Nato. Il Cremlino ha usato la collaudata tattica di seminare confusione online con siti web e media finanziati dalla Russia. Stiamo osservando un nuovo sviluppo durante la crisi del Covid-19: la Cina ha imparato dalla Russia. Entrambe ora cercano di seminare disinformazione per generare caos e confusione.

Che cosa può fare la Nato?

L’Unione europea si è mossa molto lentamente. E se Paesi come l’Italia lamentano questa lentezza (pensiamo alle mascherine) e un senso di sfiducia, come si può parlare per esempio di difesa europea? Penso che dopo l’emergenza la Nato diventerà sempre più importante a livello della sicurezza in Europa. I lunghi dibattiti sull’autonomia europea dovranno essere trasformati in qualcosa di concreto. A causa della recessione economica post Covid-19 e dell’inevitabile pressione sui bilanci della difesa, l’Europa dovrà agire. Alla fine di marzo, la Nato ha formato un gruppo di riflessione in risposta al rischio di “morte cerebrale” dell’alleanza, sollevato dal presidente francese Macron. Nel nuovo panorama geopolitico post Covid-19, è evidente la necessità di ricalibrare il peso relativo degli impegni economici e politici statunitensi ed europei nei confronti dell’alleanza atlantica. È giunto il momento di rafforzare il pilastro europeo all’interno della Nato. Stiamo vedendo come nel mondo occidentale la definizione di sicurezza debba essere allargata (soprattutto su salute e cyber ma anche su infrastrutture e investimenti esteri, comprese le reti 5G). Sembra che la deriva transatlantica degli ultimi anni possa ora essere sostituita dal comune timore transatlantico del Partito comunista cinese.

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