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Trump vuole sfruttare commercialmente la Luna. Ecco come…

Dopo il riconoscimento dello Spazio quale dominio militare operativo, arriva l’attestazione di un’altra realtà: la nuova frontiera economica è oltre l’atmosfera, lì dove si aprono le opportunità per gli imprenditori 2.0 e per nuove collaborazioni pubblico-privato. Il presidente americano Donald Trump ha siglato ieri un ordine esecutivo che chiede supporto internazionale per riconoscere la possibilità di sfruttare commercialmente la Luna e gli altri corpi celesti. Serve soprattutto alla Nasa, che per riportare l’uomo sulla superficie lunare entro il 2024 ha già avviato innovative formule di collaborazione con i privati, chiamando a raccolta tanti imprenditori dello Spazio.

LA NOVITÀ

Firmato ieri da Trump, l’ordine esecutivo affida al segretario di Stato Mike Pompeo la promozione di uno sforzo inter-agenzia per cercare “International support for the recovery and use of space resources”. Si tratta di vedere riconosciuta all’estero la linea americana sull’esplorazione lunare, ormai ben indirizzata verso un’ampia partecipazione degli attori privati nel ritorno sul satellite naturale e nel mantenimento di una presenza stabile sul suo polo sud. L’ordine esecutivo dunque chiarisce prima di tutto il rifiuto degli Stati Uniti per il Moon Treaty, siglato nel 1979 e ratificato da soli 18 Paesi. Il trattato definisce la Luna come “patrimonio comune del genere umano”, con un regime che di fatto impedisce la possibilità di rivendicare la proprietà sulle sue risorse, una linea datata dal momento in cui già si è immaginata la possibilità di sfruttare i materiali lunari per intraprendere ulteriori viaggi o per alimentare l’economia terrestre.

LA LINEA AMERICANA

Il Moon Treaty, spiega Trump nell’ordine, crea incertezza sul diritto allo sfruttamento delle risorse lunari e di fatto inibisce gli investimenti degli imprenditori spaziali altrimenti desiderosi di partire all’avventura. “Gli americani – si legge – dovrebbero avere il diritto di intraprendere attività commerciali di esplorazione, recupero e uso di risorse nello spazio extra-atmosferico”. Per questo, senza rifiutare l’altro grande accordo spaziale (l’Outer Space Treaty del 1967 per l’uso pacifico dello spazio), Trump affida a Pompeo la ricerca di supporto internazionale in ogni formula, bilaterale o multilaterale, con intese, accordi o dichiarazioni d’intenti (alimentando su questo i timori di alcuni osservatori sulla possibilità di aumentare ulteriormente l’incertezza attuale). In 180 giorni, il segretario di Stato riporterà al presidente i risultati della sua attività.

LA SPINTA DI TRUMP…

Il primo riferimento normativo citato dall’ordine esecutivo è comunque la Space policy directive 1, del dicembre 2017, la prima direttiva spaziale della sua amministrazione. Allora, capovolgendo la tabella di marca della presidenza Obama, Trump ordinava alla Nasa di elaborare un piano per tornare al più presto sulla Luna per poi puntare, solo in seguito, verso Marte. Tale direttiva, abbracciata e ulteriormente dettagliata dal Nation space council (Nsc) affidato al suo vice Mike Pence, è confluita nel programma Artemis della Nasa, la punta di diamante dell’agenda dell’amministratore Jim Bridenstine. Come da direttive della Casa Bianca e del Nsc, vuole riportare l’uomo sulla superficie lunare entro il 2024, immaginando lì una presenza stabile da cui partire verso altre mete, incluso il Pianeta rosso.

…E IL LAVORO DELLA NASA

Con l’incognita dal Covid-19 (su queste colonne abbiano già trattato di possibili impatti sul programma, viste le interruzioni di alcune attività) la tabella di marcia appare ancora più stringente. Difatti, c’è lo sviluppo del lanciatore Space Launch System (SLS) e della navicella Orion che dovrà trasportare gli astronauti, c’è il Lunar gateway che orbiterà intorno alla Luna e ci sono i progetti per svariati lander per l’allunaggio e per i veicoli che dovranno garantire rifornimenti dalla Terra. “Non sono ammessi ritardi”, spiegava Bridenstine ormai una anno fa, poche settimane dopo aver appreso l’obiettivo 2024. Su questo la Nasa ha investito tutti i suoi sforzi, andando a ricercare innovative formule contrattuali, coinvolgendo i privati più strutturalmente e istituendo più partnership insieme, anche nello stesso momento.

CONTRATTI INNOVATIVI

È il caso dello Human landing systems (Hls) per sviluppare i sistemi di allunaggio, già al centro di dibattito a Capitol Hill in virtù della sua formulazione innovativa. Per accelerare i tempi, infatti, la Nasa ha finanziato più progetti insieme così da avere molteplici soluzioni a disposizione e scegliere poi la più adatta. Il risultato (che non piace ai tradizionalisti che vorrebbero un unico lander di proprietà del governo americano) è che i veicoli sarebbero di proprietà degli attori privati. E che dire dello “Space Act Agreements”? Si tratta di una modalità di collaborazione adottata dalla Nasa per la Luna con ben 13 aziende in cui non si prevede alcun contratto né pagamento. Alle società private viene chiesto un contributo di ricerca e sviluppo, offrendo loro in cambio la possibilità di lavorare insieme agli autorevoli centri di ricerca dell’agenzia federale.

VERSO LA NEW SPACE ECONOMY

La Nasa ha potuto muoversi in tale direzione grazie a un budget che non ha eguali al mondo, destinato a confermare il trend anche nei prossimi anni. A febbraio, l’amministrazione ha chiesto al Congresso il budget più alto del terzo millennio per la sua agenzia spaziale: 25,2 miliardi di dollari. Conferma anche il coinvolgimento dei privati e le modalità contrattuali già adottate dalla Nasa. Sono d’altra parte i caratteri della New Space Economy, l’era in cui ai privati viene chiesto di partecipare al rischio dell’impresa spaziale a fronte del riconoscimento di una serie di benefici. È per garantire questi ultimi che Trump ha affidato a Pompeo la ricerca di “International support for the recovery and use of space resources”.

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