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Uk (ma anche Brasile), ecco come cambia il vento geopolitico. A sfavore della Cina

I primi segnali erano emersi già a marzo, come raccontato da Formiche.net: il Regno Unito sta ripensando il suo rapporto con la Cina, e tra i primi a rischiare conseguenze pesanti c’è Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni a cui il governo di Boris Johnson aveva permesso di partecipare fino al 35% della parte non-core dell’infrastruttura 5G.

Non soltanto il nuovo capo dell’MI5, Ken McCallum, (qui un suo ritratto) ha promesso il pugno duro contro la Cina (e la Russia). Il Partito laburista è ancora in difficoltà nonostante il passo indietro di Jeremy Corbyn: secondo molti osservatori il nuovo leader, Keir Starmer, è soltanto di passaggio in attesa di una figura più forte che però non si vede ancora all’orizzonte. Così, il Partito conservatore al governo sta imprimendo una decisa svolta nei rapporti tra Regno Unito e Cina. La pandemia di coronavirus sta cambiando gli equilibri mondiali e perfino la “Global Britan” pensata dall’esecutivo di Johnson per far fronte alla Brexit. Il premier sembrava voler puntare forte sull’asse con Pechino costruito dal suo amico-nemico (e predecessore a Downing Street) David Cameron ma il coronavirus, e gli errori del regime cinese, hanno dato nuova forza alle critiche all’interno del partito. 

Lo racconta il Financial Times. Tutto parte da alcune dichiarazioni di una settimana fa di Dominic Raab, ministro degli Esteri che attualmente sostituisce il premier Boris Johnson convalescente: non ci saranno più business as usual con la Cina, nel solco indicato dall’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump. Il quotidiano finanziario della City ha raccolto molte voci tory: quella di Chris Patten, ultimo governatore di Hong Kong, quella dell’ex leader Iain Duncan Smith, quella di Malcolm Rifkind, ex ministro degli Esteri e della Difesa, quella di Ben Wallace, ministro della Difesa, e quella di Tom Tugendhat, presidente della commissione Affari esteri della Camera dei Comuni.

Il governo prova a resistere – almeno a parole. Ma sembra ormai inevitabile un ripensamento dei rapporti. Bisogna “riorientare” le relazioni sinobritanniche, fronteggiare l’influenza cinese nel Paese e allontanare Huawei, dicono gli interlocutori del Financial Times, che non sono soltanto politici di primo piano ma anche importanti raccoglitori di fondi per il Partito. È una linea che ribalta l’approccio dell’ex premier David Cameron, che assieme al suo cancelliere George Osborne, aveva inaugurato una “età dell’oro” nei rapporti tra Londra e Pechino. Lord Patten ha spiegato che l’approccio cinese al coronavirus ha dimostrato che Pechino “è pericolosa per il mondo intero”. Per l’ex ministro Rifkind è “troppo rischioso dipendere dalla Cina” per medicine e beni essenziali: si apre così non soltanto il fronte diplomatico ma anche quello del rientro delle aziende, fenomeno in fase embrionale ma già visto in Giappone e negli Stati Uniti.

Che con il Brasile sono tra i Paesi con il governo più critico verso la gestione cinese del coronavirus. Come ha raccontato sempre il Financial Times, infatti, è in corso un’aspra contesta sui social media e non solo tra la diplomazia cinese a Brasilia e il governo di Jair Bolsonaro: basti pensare che l’ambasciata ha pubblicizzato massicciamente gli incontri con alcuni oppositori del presidente per rispondere a lui e ai suoi consiglieri (compreso il figlio Eduardo, un vulcano su Twitter) che hanno puntato il dito contro Pechino e alimentato la narrativa dell’amministrazione statunitense sul “virus cinese” o “virus di Wuhan”.

L’asse internazionale trumpiano si sta rafforzando sulla lotta per la verità su quanto accaduto a Wuhan e in Cina. E il Regno Unito, nonostante le sue titubanze, potrebbe essere il prossimo Paese a rafforzare l’asse con gli Stati Uniti. Anche perché la Brexit incombe e servono nuovi accordi commerciali.

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