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Vincono i creativi

In questo cambio di era vincono i creativi, ovvero coloro che (com)prendono la complessità del tempo che viviamo. Fuori da ogni tentativo di semplicazione razionalizzatrice dei processi storici, abitudine che ci rassicura ma che ci fa de-generare, dobbiamo prendere atto che il tema “da classi dirigenti” è il talento d’immaginare scenari non previsti, visioni. E il tema è tutto politico.

Fare esperienza è vivere ed è una sfida continua a ciò che pensiamo di conoscere, per un (ri)pensamento che non può più essere solo settoriale ma che deve allargare lo sguardo e l’approccio alla globalità dei fenomeni planetari. Dire che vincono i creativi significa che bisogna avere il coraggio del pensiero complesso e visionario, nella considerazione che, come qualcuno ha giustamente notato, è l’improbabile che governa le nostre vite.

Siamo dentro a una sfida gigantesca che, se da un lato ci spaventa, dall’altro lato ci apre grandi possibilità. In questa sfida dobbiamo essere capaci di dischiudere le nostre potenzialità, di farle esplodere in positivo, di (ri)trovarci soggetti progettanti, politici.

Se guardiamo alla politica che conosciamo ci rendiamo conto che essa si è ridotta a rincorrere i fenomeni storici, sempre più confondendosi con l’amministrazione e perdendo quell’autonomia visionaria che è la sua caratteristica fondamentale e decisiva. La politica non anticipa più ma si concentra esclusivamente sulle conseguenze. Così, inevitabilmente, la politica entra in crisi de-generativa perché ha un bisogno sempre crescente di strumenti scientifico-tecnici indispensabili per risolvere. Così perde la sua autonomia, non avendo ragion d’essere.

La politica che conosciamo è a-creativa, guarda al futuro solo quando questo diventa presente e invade, con la sua potenza, le nostre vite. Eppure alla politica dovremmo chiedere altro, non di più o di meno: abbiamo la necessità, dunque, di (ri)pensarla, di non lasciare che essa de-generi fino al punto di rivelarsi inutile, pratica come tante altre.

Una politica che non c’è significa mancanza di mediazione, di visione ma, soprattutto, mancanza di “comune”, di ciò che ci tiene insieme, dentro e al di là del privato e del pubblico. Un “progetto di civiltà”, oggetto della nostra ricerca quotidiana, vive nell’anima politica, altro non è se non il (ri)pensamento politico del mondo-in-noi e di noi-nel-mondo.

Ci è chiaro quanto questo sia importante. Ora è il tempo della (con)divisione e della messa-in-comune di idee innovative che, in ogni ambito della nostra vita, ci facciamo (ri)trovare una dimensione politica complessa, (re)integrante e visionaria. Nel cambio di era, è bene cogliere l’occasione di lasciar vincere la creatività.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)

 


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