Solo una messa in gioco radicale, esistenziale prim’ancora che intellettuale, può essere viatico di vera libertà (Antonio Rigopoulos, Osservazioni sull’a-dualismo sankariano nel pensiero di Panikkar in I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, p. 194)
L’immersione esperienziale è immersione totale. Alla ricerca di un progetto di civiltà, nella metamorfosi nella totalità, la necessità di operare la contestualizzazione, (ri)pensandola, ci viene anche dalla universalizzazione dilagante e dominante, opprimente, del Sistema-Mondo che abbiamo costruito. Che spazio abbiamo lasciato per la (con)divisione del “destino planetario” ? Possiamo pensare che tutti (con)dividano il destino planetario vivendo nell’assoggettamento delle parti al tutto ? Le parti, come il tutto, hanno un valore e non possono essere sacrificate (il tutto si sostiene nelle parti e viceversa). Potremmo dire, seguendo Panikkar, che è necessario operare una difesa al tempo stesso dell’irriducibile specificità d’ogni tradizione (…) e della necessità d’evidenziare ciò che è foriero d’armonia (non unità) tra esse (1).
Abbiamo bisogno di una metanoia, conversione, accoglimento della metamorfosi. Ne abbiamo bisogno perché ciò che è già, il “meticciato” (in tutti gli ambiti delle nostre vite) che deriva dai processi della mondializzazione, non si trasformi in scontro permanente (a partire dalla non-comprensione e non-(com)prensione) tra appartenenze non meditate, non problematizzate e, dunque, negate in essenza (non possiamo aprirci a chi è l’altro se non ci apriamo, in termini critico-mistici, a chi siamo).
Cos’è la globalità ? Troviamo del tutto pertinente l’approccio panikkariano che va compreso come un grande affresco di teologia trinitaria, (…) declinante il tema della relazionalità a ogni livello e tra ogni livello o piano di realtà, intessendo/riconoscendo nessi e dinamici rapporti (uni-e-trini, a-duali) (2).
C’è religione nella globalità. Ascoltiamo Tarca: la religione (…), se per un verso è un re-ligare, cioè un vincolare e quindi anche un “costringere”, per un altro verso deve però essere vista anche come qualcosa che “slega”, perché è frutto di una libera elezione (cfr. re-legere, ma anche re-eligere) (3).
Torna l’inter-in-dipendenza come dato di fondo, nel profondo del destino planetario. Siamo liberi perché siamo vincolati e, dunque, responsabili l’uno dell’altro, della terra e del cosmo. La libertà che nasce nel vincolo reciproco, trinitario, è libertà “piena”, relazionale, senza sconti, dalla quale non si può fuggire. Nella inter-in-dipendenza evolve il tutto per ciò che è, mediazione dei nostri rapporti di forza e costruzione di strade di progettualità che portano dentro il conflitto e il disordine. Vivere il destino planetario significa (con)dividerne la e le complessità, mai immaginando che esso possa risolversi in una sommatoria di diversità. Il destino planetario, nella inter-in-dipendenza, non può essere compreso solo attraverso un esercizio razionale ma va (com)preso attraverso un esercizio razionale/mistico, ben considerando la natura complessa (contraddittoria) della realtà-che-è. La razionalità (…) è costretta a istituire una dimensione che la trascende (4).
Se il destino planetario non può essere totalmente razionalizzato, non ci resta che viverlo nella nostra (in)compiutezza, (ri)conoscendo che dobbiamo ascoltarne, e respirarne, il senso in profondità alimentandolo dei nostri infiniti significati. Nel destino planetario siamo agenti/agiti, parti del e nel tutto, responsabili del suo mistero istituente e, in quello, responsabili in (ri)creazione.
NOTE
(1) Antonio Rigopoulos, op. cit., p. 194
(2) Antonio Rigopoulos, op. cit., p. 196
(3) Si veda Luigi Vero Tarca, Raimon Panikkar e la razionalità occidentale in I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, op. cit., p. 207
(4) Cfr. Luigi Vero Tarca, op. cit. p. 207
(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)