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L’Argentina rischia il default. Tre scenari per evitare il fallimento

È quasi certo il default dell’Argentina, ancora una volta. Venerdì 22 maggio scadono i bond per circa 503 milioni di dollari e non c’è possibilità di pagamento. Il governo tenta la negoziazione e la strada del dialogo resta aperta. Se invece si sceglie la strada dei tribunali, il Paese sudamericano si dichiarerà, per la nona volta nella storia, fallito.

Il governo di Buenos Aires cerca di prendere tempo sfruttando la scusa della pandemia Covid-19. Il ministro dell’Economia argentino, Martín Guzmán, ha spiegato che i negoziati per la ristrutturazione del debito si sono complicati per colpa della crisi sanitaria globale. Secondo lui, non è lo stesso negoziare in videochiamata. Comunque, la deadline resta la stessa e non c’è per ora accordo.

Dal punto di vista tecnico, se l’Argentina fosse un’impresa sarebbe già fallita, come spiega il sito Infobae. In un articolo firmato dal giornalista argentino Roberto Cachanosky si legge che gli attivi correnti, la liquidità, sono inferiori al totale dei debito in scadenza quest’anno e che, in più, manca di credito: “Lo Stato argentino con gli attivi correnti che ha non può affrontare i pagamenti di quest’anno. il Paese non ha cassa, né crediti da farsi pagare e nemmeno forma di avere liquidità per affrontare i pagamenti degli interessi e del capitale”.

Di fronte a questa situazione, il governo di Alberto Fernández ha convocato una specie di concorso di creditori per presentare un’offerta di pagamento nel futuro. Se i creditori non accettano questa proposta, allora il default è inevitabile, come nel caso di fallimento di un’impresa. Ma i grandi gruppi di investitori condividono con l’esecutivo il desiderio di evitare il fallimento.

“I creditori – spiega il quotidiano El País – hanno creato tre gruppi distinti (Bondholders, Ad Hoc ed Exchange), secondo le caratteristiche di debito, e hanno presentato le loro proposte. Anche se sono ancora molto distanti dall’offerta del governo, resta la speranza di un accordo nelle prossime settimane”.

Il sito sulle notizie argentine in italiano Gaucho News, sottolinea che emergono due controproposte “dal Gruppo ad hoc di obbligazionisti, che include i fondi BlackRock e Fidelity, e dal Gruppo ad hoc di obbligazionisti di titoli di scambio, tra cui Monarch e Bhk Capital – chiedono che la moratoria dei pagamenti non sia di tre anni come proposto dal governo ma limitata a uno. Non prevedono, inoltre, nessun taglio al capitale ma accetterebbero una sensibile riduzione degli interessi”. La terza strada, più vicina alla posizione del governo argentino, arriva dai fondi Greylock, Gramercy e Fintech, che si sono resi disponibili a un taglio del capitale iniziale e una riduzione degli interessi.

Il presidente Fernández e il suo ministro Guzmán vogliono ancora tempo per cercare qualche spazio di manovra. Da tre anni l’Argentina è in recessione e quest’anno registrerà una contrazione economica di circa il 7%.

Ma perché il Paese sudamericano è ancora sull’orlo del fallimento? Cachanosky sostiene che i creditori difficilmente accetteranno la proposta di taglio degli interessi e di capitale. Soprattutto perché l’Argentina non produce le risorse necessarie per avere le entrate fiscali che permettono di onorare i debiti.

“Lo Stato spende più di quello che produce – scrive il giornalista argentino che dirige il settimanale economico Informe Económico Semanal -. La differenza la copre il debito. Ma non ristruttura il Paese, ma cerca in genere il consumo con misure populistiche, incentivando le persone a non produrre. È come se il capo famiglia spendesse con la carta di credito e, senza lavoro, quando la banca arriva per chiedere di pagare il debito, accusa la banca di essere un avvoltoio”.

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