Chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo può perire. Tutti gli errori di una politica che ha rinunciato alla propria autonomia da almeno un quarto di secolo, e che per di più per compiacere ha fatto propria un’idea di giustizia premoderna e illiberale, sembrano essere venuti come nodi al pettine durante il programma “Non è l’Arena” condotto da Massimo Giletti su La7. In trasmissione, quindi in una sede pubblica e non istituzionale, il magistrato Nino Di Matteo ha accusato il guardasigilli Alfonso Bonafede di non aver mantenuto la promessa di nominarlo a capo del Dap, il Dipartimento del ministero della Giustizia delegato agli affari penitenziari, dopo la reazione di contrarietà espressa da alcuni boss detenuti col 41 bis e opportunamente intercettati. Bonafede, sentitosi toccare su un punto chiave del programma giustizialista suo e del suo partito, è subito intervenuto in trasmissione per contestare la tesi di Di Matteo, dando vita con lui ad una poco edificante gara a chi fosse più inattaccabile nella lotta alla mafia.
Uno spettacolo penoso, l’ennesimo, direi prima di tutto per le istituzioni, e poi per i cittadini. Che dimostra come, se fai l’integerrimo, troverai sempre sulla tua strada uno che dice che in un caso non lo sei stato abbastanza. Sono da anni che gli italiani assistono a questo processo a spirale, che ha finito per delegittimare tutti: i politici, i magistrati, le istituzioni, l’esercizio della legge. Sarebbe opportuno che tutti ritornassero finalmente nei ranghi, e che si ristabilissero i principi base di separazione fra i poteri dello Stato, e di riservatezza nell’esercizio delle proprie funzioni, che sono un cardine della civiltà liberale.
Cosa ci ricorda il caso Di Matteo-Bonafede e perché è opportuno che lo “scandalo” sia venuto fuori proprio in questo momento? Se come tutti dicono bisogna ridisegnare il Paese, per farlo ripartire dopo la più drammatica delle sue crisi, sarebbe assolutamente necessario che anche la giustizia rientrasse nell’agenda riformatrice. Anche perché i suoi problemi finiscono per riversarsi su tutto, anche su quella economia reale e produttiva che, per adempiere al massimo al suo compito, deve essere certa di lavorare in un sistema di regole certe e rispettate da tutti gli attori in campo.
“Nulla sarà più come prima”, dice la retorica legata al Covid-19. Per non farla restare flatus vocis, bisogna assolutamente archiviare i lustri di ubriacatura giustizialista che sono alle nostre spalle.