Una trentina di Stati dell’Unione hanno già iniziato a ridurre i lockdown anti-coronavirus e altri s’apprestano a riaprire; e il presidente Donald Trump polemizza coi governatori che non allentano l’ordine di “#stayhome”. Ma l’ex presidente repubblicano George W. Bush lancia un appello all’unità di fronte a una“minaccia condivisa”.
In un video di tre minuti, che suona presa di distanze dagli atteggiamenti divisori di Trump, Bush invita a mettere da parte i contrasti: “Ricordiamoci quanto sono piccole le nostre differenze”, rispetto al comune pericolo. “Non siamo dei combattenti di parte. Siamo esseri umani, ugualmente vulnerabili agli occhi di Dio”. E l’ex presidente osserva che “le sofferenze che sperimentiamo come Paese non sono distribuite in modo uniforme. In futuro sarà importante prendersi soprattutto cura degli anziani, dei malati e dei disoccupati”.
La sortita di Bush, la cui famiglia non è mai stata ben disposta verso Trump, getta dubbi sull’esito d’un sondaggio della Gallup, secondo cui il 96% degli elettori repubblicani sostengono il magnate alla Casa Bianca. Che twitta: “Grazie! Il nuovo sondaggio mostra che Trump sta battendo Sleepy Joe Biden“. Nelle ultime due settimane, il tasso d’approvazione del presidente è risalito di sei punti, al 49%, il suo livello record, a fronte d’un 47% di bocciature.
Sabato, i morti per coronavirus negli Stati Uniti sono stati 1.435, stando ai dati della Johns Hopkins University. I decessi sono stati complessivamente oltre 66.300, i contagi oltre 1.133.000. Secondo calcoli della Cnn, nel mese di aprile ogni 44 secondi un americano è morto di coronavirus.
In termini assoluti, lo Stato più colpito è quello di New York: oltre 24 mila morti e 318 mila casi. Ma pure lì i segnali di miglioramento della situazione sono inequivocabili: l’ospedale da campo allestito a Central Park chiude — Samaritan Purse, l‘associazione evangelica che l’ha realizzato, non accetterà più pazienti da domani; e la nave ospedale USNS Comfort, arrivata il 30 marzo, se n’è già andata.
Fronte polemiche con la Cina, un rapporto stilato dall’alleanza d’intelligence Five Eyes fra Paesi occidentali anglosassoni (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda), di cui dà notizia il giornale australiano Daily Telegraph, indica che Pechino avrebbe “deliberatamente nascosto o distrutto prove dell’epidemia” in una prima fase, salvo poi invertire la rotta il 20 gennaio: “un ‘attacco alla trasparenza internazionale’ costato decine di migliaia di vite umane” e che ha messo in pericolo altri Paesi. Il rapporto elenca gli ostacoli alla trasparenza che la Cina avrebbe posto, ma non avalla il sospetto più volte avanzato da Trump di una diffusione intenzionale o accidentale del virus da laboratori cinesi.
Fronte medico, dopo incoraggianti test in un ospedale di Chicago su 125 pazienti, solo due dei quali sono deceduti, la Federal and Drug Administration, l’Agenzia del Farmaco Usa, ha autorizzatol’uso del remdesivir contro il coronavirus: è un antivirale inizialmente studiato contro i coronavirus e poi modificato contro l’Ebola. Il remdesivir deve ancora mostrarsi efficace nei casi più gravi, ma pure l’Ue pensa a stringere i tempi per l’adozione.
La Casa Bianca ha intanto bloccato un’audizione del virologo Anthony Fauci, che doveva comparire davanti a una commissione della Camera, quella per gli Stanziamenti, controllata dai democratici, giudicando “controproducente” che persone impegnate sul fronte medico contro il coronavirus “compaiano in audizioni al Congresso”. È, però, confermata un’audizione dello stesso Fauci davanti alla commissione Sanità del Senato controllata dai repubblicani, il 12 maggio.
Infine, continuano a saltare i funzionari non in linea con l’ottimismo del presidente: Christi Grimm, che aveva denunciato la carenza di test per il coronavirus e di attrezzature protettive per chi lavora negli ospedali, non è più il vice ispettore-generale del Dipartimento della Sanità. Al suo posto Trump ha nominato Jason Weida.