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Caccia del futuro e nuovo carro armato. Cosa smuove la Difesa europea

La Difesa europea è in fermento. Ieri, il nuovo progetto della Commissione von der Leyen sul bilancio pluriennale dell’Ue 2021-2027 ha certificato la riduzione delle ambizioni per la Difesa comune, per cui si prevedono 8 miliardi in sette anni. Ciò non arresta la corsa dei singoli Paesi sul campo, che anzi pare rinvigorita dall’incertezza pandemica sugli scenari internazionali.

LA SPINTA AERONAUTICA

L’ultima novità riguarda il progetto sul futuro sistema da combattimento aereo, meglio noto come Fcas, progetto di Parigi e Berlino a cui ha aderito anche Madrid (con Londra e Roma a lavorare sul Tempest). L’input per accelerare è arrivato direttamente dai futuri utilizzatori, le Aeronautiche militari di Germania, Francia e Spagna, attraverso una nota congiunta dei rispetti capi di Stato maggiore: Ingo Gerhartz, Philippe Lavigne e Javier Fernandez. La nota definisce le performance attese, al fine di supportare i rispettivi governi nelle scelte industriali e avere un caccia disponibile dal 2040, così da sostituire Rafale ed Eurofighter. L’obiettivo è superare le possibili divergenze politiche tra i tre Paesi, sincronizzando gli sviluppi di tutti su un’unica tabella di marcia. Il documento, visto da Defense News, elenca dieci possibili architetture di sistema su cui elaborare il Next-generation weapon system (Ngws). Si tratta del sistema del caccia vero e proprio (Ngf), insieme ai sistemi a pilotaggio remoto (si immaginano anche sciami di droni), tutti connessi in una rete.

L’INTESA FRANCO-TEDESCA

Il tentativo segue i primi contratti di sviluppo, arrivati lo scorso febbraio per 150 milioni di euro per avere un dimostratore pronto a volare nel 2026 (in tutto serviranno per questo 4 miliardi). In attesa di capire l’inserimento del comparto spagnolo, riguardano le aziende di Francia e Germania, con l’obiettivo di definire la divisione del lavoro. Sono difatti assegnati alle capofila del progetto, la francese Dassault Aviation e il colosso Airbus. Con loro, ci sono la tedesca MTU Aero Engines e la transalpina Safran per la parte motoristica, MBDA per la missilistica e l’altro big francese Thales per i sistemi. I contratti erano arrivati dopo l’approvazione, la settimana precedente, dell’avvio della Phase1A da parte del Bundestag.

I TEMPI DEL PROGETTO

Un’approvazione giunta non senza difficoltà (tra l’altro per “solo” 75 milioni), con due mesi di ritardo rispetto al previsto, con Parigi a premere Berlino, e con quest’ultima a tentennare tra dibattiti politici e dubbi sulle prospettive di export. La stessa dinamica segue il programma sin dal suo lancio, nel luglio del 2017, con una prima intesa tra Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ad aprile 2018, si è aggiunta l’unione di intenti tra Dassault e Airbus, e poi (a febbraio 2019) l’assegnazione da parte della Difesa di Parigi del primo contratto a febbraio: 65 milioni di euro alle due aziende per la definizione dell’architettura generale e dell’organizzazione industriale del velivolo di nuova generazione. Nello stesso contesto arrivava la firma tra Safran e MTU per collaborare sui motori.

NON TUTTE ROSE E FIORI

In tutto questo, i dubbi maggiori sono arrivati dal Parlamento tedesco, soprattutto sul fronte dell’export, dove la linea francese (senza troppi peli sullo stomaco quando si tratta di vendere armi) si è spesso scontrata con la rigida cautela teutonica. Lo scorso ottobre, Macron e Merkel hanno provato a superare tali dubbi, firmando la dichiarazione di Tolosa (dove ha sede un grande sito di Airbus) contenente “un accordo giuridicamente vincolante sulle regole di controllo alle esportazioni di armi per programmi sviluppati congiuntamente”. Dubbi superati? Sembrerebbe di no, un paio di settimane fa, in audizione al Senato francese, il ceo di Dassault Eric Trappier si è detto “preoccupato” di rallentamenti nell’avanzamento del programma. I timori “più del Covid-19”, sono legati ancora una volta ai tentennamenti del Bundestag (alle prese recentemente anche con la delicata questione del rimpiazzo dei Tornado).

IL LEGAME CON IL MAIN BATTLE TANK

Tentennamenti che potrebbe attenuarsi con il procedere dell’altro grande progetto dell’asse franco-tedesco nel campo della Difesa: Main ground combat system (Mgcs). Nato in parallelo all’Fcas, riguarda l’esigenza dei francesi di sostituire il veicolo Leclerc, prodotto da Nexter, e per i tedeschi di rimpiazzare il Leopard 2, realizzato da KMW. Per questo, dopo lettere d’intenti e dichiarazioni d’intesa, la scorsa settimana è arrivato il primo vero e proprio contratto, relativo allo studio di definizione dell’architettura di sistema del carro armato. È stato ssegnato dalla Bundeswehr al consorzio Arge, formato da Rheinmetall, KMW e Nexter, sulla scia della concordata divsione 50-50 tra aziende transalpine e teutoniche, pari al contributo finanziario dei due Paesi. Due, perché Francia e Germania continuano a voler procedere da sole nel campo dei Main battle tanks (Mbts).

LA PORTA CHIUSA…

Come nota uno studio pubblicato di recente dall’Istituto affari internazionali (Iai), la stessa esigenza appartiene però agli altri Paesi europei, Italia compresa, che dovrà sostituire il carro Ariete. Di più, notano gli esperti dello Iai, la Penisola vanta nel campo un’industria di tutto rispetto, tra “la divisione armamenti terrestri di Leonardo, ex OtoMelara, che lavora su una serie di piattaforme e tecnologie per le forze armate nazionali e l’export verso mercati terzi” e “Iveco Defence Vehicls, che impiega circa mille lavoratori nello sviluppo e produzione di veicoli militari quali ad esempio Centauro, Lince e Freccia”. Se la porta franco-tedesca rimane chiusa (e lo sarà fino alla fine della prima fase, quella in cui si definiscono gli elementi più rilevanti, i requisiti operativi e i ritorni di lavoro), occorre guardare altrove, sulla scia di quanto fatto salendo a bordo del Tempest britannico per il caccia del futuro.

…E LE POSSIBILITÀ

Le ipotesi per l’Italia sono tre: “Un vero Euro-Mbt con Francia, Germania e Polonia; un Mbt italo-polacco; un Mbt europeo con Spagna, Polonia e altri Paesi Ue”. Se fallissero tutte e tre, “l’ipotesi di riserva di una cooperazione con Israele potrebbe comunque garantire con tutta probabilità le capacità corazzate dell’Esercito italiano nel medio-lungo periodo”. Eppure, nessuna delle ipotesi “è pienamente soddisfacente considerando nel complesso la ratio politica, militare e industriale”. Inoltre, l’incognita per creare un’alternativa al progetto franco-tedesco risiede anche nella volontà politica di Madrid e Varsavia a procedere in tal senso, cosa che è “niente affatto scontata”, spiega lo studio dello Iai. La questione si intreccia anche al programma Fcas, su cui permane la questione spagnola.

LA QUESTIONE SPAGNOLA

Madrid ha aderito ufficialmente al progetto a luglio dello scorso anno, a oltre sei mesi dalla manifestazione d’interesse, ma ancora non è stata definita la partecipazione della sua industria. A febbraio, quando sono arrivati i primi contratti importanti, il numero uno di Airbus Guillaume Faury definiva “un errore” la scelta del governo spagnolo di presentare Indra come capofila, invitando l’esecutivo a un ripensamento a favore di Airbus, ben radicata nel Paese. La risposta è arrivata a stretto giro da Fernando Abril-Martorell, presidente di Indra, per cui la decisione di Madrid sarebbe “molto logica”. Difatti, aggiungeva (con il sostegno del governo iberico), “ogni altra opzione avrebbe il rischio di relegare l’industria spagnola a contributi a più basso valore aggiunto”. La recente dichiarazione tra i capi delle Forze aeree sembra voler contribuire a mettere fine alla questione, facendo salire Madrid con convinzione nel progetto.

LA DIFESA EUROPEA

Tanto l’Fcas, quanto il Mgcs, si inseriscono nel rinnovato fermento intorno alla Difesa europea. Le ultime novità sono arrivate ieri, quando la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha presentato il “Next Generation Eu” con annessa revisione del bilancio pluriennale. Seppur nell’ambito di numeri complessivi al rialzo, per il Fondo europeo di Difesa si propongono 8 miliardi di euro, in netto calo rispetto ai 13 miliardi della proposta iniziale. La diminuzione del livello di investimenti dell’Ue non è comunque capace di abbassare la corsa tra Paesi. Caccia di sesta generazione e carro armato del futuro dimostrano il fermento della Difesa del Vecchio continente.

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