Ieri a Pechino si è aperta la tredicesima sessione dell’Assemblea Nazionale del Popolo. “È un incontro annuale che solitamente riserva poche sorprese ed è principalmente atto a formalizzare decisioni già prese”, spiega a Formiche.net Francesca Ghiretti, research fellow dell’Istituto affari internazionali (Iai). Ma la pandemia di coronavirus ha reso questa sessione diversa. Innanzitutto l’ha fatta slittata da marzo a fine maggio, “in attesa di avere la pandemia sotto controllo, dopotutto è un evento ad intensa copertura mediatica che prevede la riunione di quasi duecento persone di alto rango provenienti da diverse parti del Paese”, sottolinea Ghiretti: “Non si possono correre rischi. Ed è anche per questo che la durata dell’Assemblea è stata accorciata, da due settimane a una: si è aperta venerdì 22 maggio e si chiuderà giovedì 28 con il discorso finale del premier Li Keqiang”.
Sono nove i punti contenuti in un’agenda dei lavori piuttosto tardivamente rispetto alla prassi. “Tra questi le questioni che hanno sollevato maggiore attenzione nel primo giorno di Assemblea riguardano la decisione di non annunciare un obiettivo di crescita dell’economia cinese — obiettivo solitamente reso pubblico in occasione dell’Assemblea — e l’istituzione e il miglioramento dei sistemi giuridici e dei meccanismi di attuazione per la salvaguardia della sicurezza nazionale nella regione amministrativa speciale di Hong Kong”, sottolinea l’esperta.
Partiamo dal Pil. “L’instabilità dell’economia globale, e non le difficili condizioni economiche interne, è stata fornita a giustificazione della decisione di non fissare un nuovo obiettivo”, spiega Ghiretti. “L’usuale gioco retorico di spostare l’attenzione di eventuali difficoltà interne è questa volta parzialmente sostenuto dalle iniziative di ripresa economica annunciate dal governo cinese tra cui una rischiosa iniezione di credito, il rilancio di investimenti per la costruzione di infrastrutture e la promessa di stimoli per attirare investimenti nel Paese, tutto a dimostrazione che il Partito è disposto a fare di tutto per garantire la stabilità del Paese. Su questo, infatti, vi sono ben pochi dubbi: il governo di Xi Jinping farà di tutto per assicurare la propria sopravvivenza”.
Ma il dibattito internazionale si è acceso sulla nuova legge per la sicurezza nazionale a Hong Kong, che dovrebbe essere votata l’ultimo giorno di Assemblea, cioè giovedì, e potrebbe entrare in vigore il giorno stesso. Una stretta contro cui si sono espressi diversi Paesi — tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito — e gli attivisti pro democrazia di Hong Kong. Come Joshua Wong, segretario di Demosisto, che ieri ha rivolto un appello al governo italiano “a stare al fianco di Hong Kong e ad assumere una posizione forte contro questa draconiana legge sulla sicurezza nazionale”. Una misura che, ha spiegato ancora in un’intervento riportato da Formiche.net, ucciderà i futuri movimenti democratici poiché tutte le proteste e gli altri appelli alla democrazia nella città saranno bollati come tentativi di sovversione dell’autorità cinese, proprio come fa il governo centrale in Cina.
“Questa”, spiega Ghiretti, “è esattamente la legge a cui i cittadini di Hong Kong a partire dal 2003 si sono opposti e il motivo principale per cui sono scesi in strada a protestare lo scorso anno”. Una misura che, aggiunge, “porrebbe fine all’autonomia di cui gode Hong Kong”. L’esperta sottolinea come “l’incapacità del governo di Carrie Lam (la governatrice di Hong Kong, ndr) di far passare la legge in seguito alle proteste ha portato Pechino a decidere di cogliere l’occasione presentatagli dalla pandemia”.
Le conseguenze di questa legge a livello internazionale rimangono “tuttora poco chiare”, conclude Ghiretti: “È legittimo, tuttavia, aspettarsi ripercussioni di natura economica da parte degli Stati Uniti. Infatti, a prescindere da Hong Kong, i toni del confronto tra Stati Uniti e Cina si stanno inasprendo. Il precario accordo della fase uno potrebbe avere i giorni contati e lasciare spazio a nuovi dazi”.