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Cina? La nuova strategia degli Usa, nero su bianco

L’amministrazione statunitense di Donald Trump ha inviato ai membri del Congresso un documento molto importante, dal titolo “US Strategic Approach to the People’s Republic of China”, per illustrare l’approccio di Washington verso Pechino alla luce della National Security Strategy del 2017, in cui la Cina, assieme alla Russia, veniva definita “potenza revisionista”.

Nelle 16 pagine del rapporto l’amministrazione statunitense evidenzia la fine delle illusioni verso la Cina. Ecco quanto recitano i primi due, eloquenti, paragrafi.

Da quando gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1979, la politica degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica popolare cinese è stata in gran parte fondata sulla speranza che un impegno più profondo avrebbe portato a una fondamentale apertura economica e politica nella Repubblica popolare cinese e al suo emergere come uno stakeholder globale costruttivo e responsabile, con una società più aperta. Più di 40 anni dopo, è diventato evidente che questo approccio ha sottovalutato la volontà del Partito comunista cinese di limitare la portata delle riforme economica e politica in Cina. 

Negli ultimi due decenni, le riforme sono state rallentate, bloccate o invertite. Il rapido sviluppo economico della Repubblica popolare cinese e il maggiore impegno verso il mondo non hanno portato alla convergenza con l’ordine libero, aperto e incentrato sui cittadini come speravano gli Stati Uniti. Il Partito comunista cinese ha scelto invece di sfruttare il mondo libero e aperto e di tentare di rimodellare il sistema internazionale a suo favore. Pechino riconosce apertamente che sta cercando di trasformare l’ordine internazionale in linea con gli interessi e l’ideologia del Partito comunista cinese. L’uso crescente dei poteri economico, politico e militare da parte del Partito comunista cinese per costringere al consenso gli Stati nazionali danneggia i vitali interessi americani e mina la sovranità e la dignità di Paesi e individui in tutto il mondo.

Un approccio nuovo, quello degli Stati Uniti, decisi a rivedere il rapporto con la Cina. Una svolta che ricorda le parole pronunciate in un’intervista a Formiche.net pochi giorni fa dal deputato conservatore Damian Green, membro del nuovo China Research Group: “Per 20 anni, noi occidentali abbiamo sperato che coinvolgendo la Cina nel nostro sistema economico, loro iniziassero a comportarsi da Paese normale secondo le regole globali. Ma è evidente che con Xi Jinping questo non accadrà. La crisi del coronavirus ha dimostrato che i cinesi sono diventati più aggressivi, più antioccidentali e determinati a utilizzare la loro forza economica per promuovere esclusivamente i loro interessi”.

Per rispondere alla sfida cinese, l’amministrazione statunitense ha deciso di adottare un approccio basato su una “valutazione chiara delle intenzioni e delle azioni del Partito comunista cinese, una rivalutazione dei numerosi vantaggi e carenze strategiche degli Stati Uniti e una tolleranza di maggiori attriti a livello bilaterale”. Ma è una posizione che non riguarda uno Stato in particolare, cioè la Cina. Piuttosto, è un approccio volto alla protezione degli interessi nazionali degli Stati Uniti, sulla base dei quattro pilastri della strategia del 2017. Alla luce della quale gli Stati Uniti mirano a: proteggere il popolo americano, la patria e lo stile di vita; promuovere la prosperità americana; preservare la pace attraverso la forza; e espandere l’influenza americana. Quattro missioni, quattro sfere: sicurezza nazionale, economia, difesa e diritti umani.

Sono due, invece, gli obiettivi di Washington nel confronto con Pechino, stando al nuovo documento. Primo: “migliorare la resilienza delle nostre istituzioni, delle alleanze e dei partenariati statunitensi per prevalere sulle sfide poste dalla Repubblica popolare cinese”. Secondo: “costringere Pechino a cessare o ridurre le azioni dannose per gli interessi vitali e nazionali degli Stati Uniti e quelli dei suoi alleati e partner”. In questa direzione va un passaggio del documento che recita: “L’amministrazione riconosce inoltre i passi che gli alleati e i partner hanno intrapreso per sviluppare approcci più chiari e solidi nei confronti della Repubblica popolare cinese, compresa, tra gli altri, la pubblicazione dell’Unione europea a marzo 2019, EU-China: A Strategic Outlook”. Ossia il documento che definisce la Cina “rivale sistemico”. Questo riferimento si presta a una doppia lettura: un incoraggiamento al Vecchio continente ma anche un avvertimento a non tornare indietro.

“Gli Stati Uniti”, si legge ancora, “hanno un profondo e costante rispetto per il popolo cinese e apprezzano i legami di lunga data con il Paese. Non cerchiamo di contenere lo sviluppo della Cina, né desideriamo disimpegnarci dal popolo cinese. Gli Stati Uniti sperano di entrare in concorrenza leale con la Repubblica popolare cinese, in base alla quale le nostre nazioni, le nostre imprese e i nostri popoli potranno godere di sicurezza e prosperità”.

Dipartimento di Giustizia e diverse agenzie federali, ma anche istituzioni come il Comitato sugli investimenti esteri (Cfius), sono in prima linea nella battaglia lanciata dall’amministrazione Trump. Che, si legge nelle conclusioni, “continua a impegnarsi con i leader della Repubblica popolare cinese in modo rispettoso ma con gli occhi aperti, sfidando Pechino a mantenere i suoi impegni”.

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