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Perché Cina e Russia non vinceranno contro gli Usa. Lo spiega Matthew Kroenig

Di Matthew Kroenig

Gli Stati Uniti d’America sono stati il più potente Paese al mondo negli ultimi settant’anni. Il regno di Washington come prima superpotenza mondiale continuerà?

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti e i loro alleati vincitori hanno costruito il mondo come lo conosciamo oggi. La supremazia militare americana ha evitato una guerra fra grandi potenze e sigillato la pace e la sicurezza internazionale. L’economia americana è stata una fonte continua di innovazione tecnologica, un motore per la crescita globale, e un modello per come gli altri Paesi hanno strutturato i loro mercati e la loro politica domestica.

Forme di governi democratici ispirate dagli Stati Uniti si sono diffuse in tutto il mondo e, per la fine degli anni 2000, un numero di persone senza precedenti nella storia viveva in libertà. I diplomatici americani hanno eretto le istituzioni che governano la politica globale contemporanea, fra cui l’Onu, la Nato e il Wto. E la cultura americana ha permeato il mondo dai blue jeans, Holliwoow e la Coca Cola durante la Guerra Fredda all’hip hop, l’Nba e Instagram oggi. Questi contributi culturali hanno fornito agli Stati Uniti una significativa riserva di soft power e reso il pianeta terra una casa più ricca e vibrante.

Ovviamente la leadership di Washington non era incontestata. Durante la Guerra Fredda, dal 1945 al 1989, ha trovato un forte sfidante geopolitico nell’Unione Sovietica, ma da quando il Muro di Berlino è stato abbattuto gli Stati Uniti sono rimasti l’indiscussa potenza mondiale egemone. Non è un’esagerazione sostenere che dal 1989 al 2014 gli Stati Uniti siano stati il Paese più dominante della storia sin dai tempi dell’antica Roma.

Tutto questo oggi potrebbe finire. Dopo venticinque anni di leadership virtualmente indiscussa degli Stati Uniti, Russia e Cina sono emersi come grandi potenze pronte a gettarsi nella competizione per l’egemonia globale.

Negli ultimi anni la Russia ha invaso i suoi vicini, l’Ucraina e la Georgia, è intervenuta con la forza in Siria, si è stabilita come broker del potere mediorientale dalla prima volta dagli anni ’70. Un think tank Usa ha di recente stimato che se Putin decidesse di invadere le capitali di due Paesi Nato, Estonia e Lettonia, le prenderebbe nel giro di 60 ore. Putin sta interferendo con la politica occidentale, a cominciare dalle elezioni presidenziali americane del 2016, con l’obiettivo di gettare discredito sulla democrazia e indebolire la Nato. Ha definito il collasso dell’Unione sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo” e la sua promessa di resuscitare una “grande Russia” potrebbe far nascere uno scontro con gli Stati Uniti.

La sfida cinese è ancora più preoccupante. Da quando ha approvato solide riforme economiche negli anni ’70, l’economia cinese si è espansa a ritmi spettacolari. Oggi è la seconda economia al mondo e diversi economisti predicono che potrebbe sorpassare gli Stati Uniti nel giro di un decennio. Il modello di crescita economica del capitalismo di Stato cinese si sta dimostrando più attraente per molti Stati esteri rispetto alla ricetta americana di libero mercato e politica aperta. Per di più, la capacità militare dipende sempre dal potere economico, e la Cina sta capitalizzando i suoi guadagni economici nell’hardware militare.

L’equilibrio di potere nell’Asia orientale si è notevolmente spostato negli ultimi anni e alcuni strateghi militari statunitensi dubitano che gli Stati Uniti abbiano ancora la capacità di difendere alleati e partner di lunga data nella regione come Taiwan. La Cina sta proiettando il suo potere più lontano, conducendo esercitazioni militari con la Russia in Europa e stabilendo avamposti militari in Africa e in America Latina. Pechino sta effettuando importanti investimenti infrastrutturali a livello globale, espandendo il proprio peso economico e politico in tutte le principali regioni del mondo, compresa l’Europa. La Città Proibita non fa mistero delle sue ambizioni. In effetti, i suoi leader promettono che entro il 2049, quando si celebrerà il centesimo anniversario del Partito Comunista Cinese (PCC), la Cina sarà una superpotenza globale.

Molti credono che tempi cupi attendano gli Stati Uniti. Come scrive Robert Kagan, negli ultimi decenni l’America ha usato il suo potere senza eguali per creare un’oasi di pace e prosperità globale, ma ora la “giungla” della grande competizione per il potere è ricomparsa.

Alcuni prevedono che, dopo l’America, il mondo tornerà a un sistema “multipolare” di equilibrio di potere tra diverse grandi potenze concorrenti, ognuna delle quali dominerà nella propria rispettiva sfera di influenza. Altri prevedono una Cina in ascesa, che sottrarrà agli Stati Uniti l’egemonia globale.

Altri, e questo è più preoccupante, ritengono che una transizione di potere tra una Cina in ascesa e un’America in declino potrebbe portare a una Terza guerra mondiale.  Lo studioso di Harvard Graham Allison è uno dei tanti che credono che questi due giganti siano “destinati alla guerra”.

Washington si è svegliata tardi di fronte a queste sfide alla sua leadership globale. Dopo due decenni di sperimentazione di risorse ed evoluzioni strategiche, combattimenti nel deserto in Iraq e in Afghanistan, ha annunciato nella Strategia di sicurezza nazionale del 2017 degli Stati Uniti d’America che “la grande competizione di potere con Cina e Russia” è ora la minaccia numero uno per la sicurezza e il benessere economico americano.

Che forma prenderà questa competizione? Davvero la Cina è destinata a guidare il mondo? Stiamo tornando a un sistema di equilibrio del potere multipolare? O Washington riuscirà a respingere questi formidabili concorrenti e a confermare la sua rendita di superpotenza mondiale?

Per rispondere a queste domande servirebbe una sfera di cristallo. La storia e la teoria politica possono tuttavia fungere da guida per suggerire una risposta chiara: le democrazie godono di un vantaggio peculiare nelle competizioni geopolitiche a lungo termine.

L’idea che le democrazie siano più facilmente in grado di accumulare e mantenere il potere nello scacchiere internazionale ha origini antiche. Erodoto, Machiavelli e Montesquieu sono tra i pensatori politici classici che hanno sostenuto che le forme di governo repubblicane sono in grado di sfruttare meglio le risorse interne a beneficio della grandezza nazionale.

Oggi le scienze sociali sembrano concordare. Negli ultimi due decenni l’economia e la scienza politica si sono più volte chieste se le democrazie siano diverse da altri sistemi politici e sono costantemente giunte alla conclusione che esse svolgono una serie di funzioni chiave meglio delle loro controparti autocratiche.

Hanno tassi di crescita economica più elevati nel lungo periodo. Sono in grado di aumentare il debito nei mercati internazionali dei capitali e trasformarsi in centri finanziari internazionali. Costruiscono alleanze più forti e più affidabili e vantano un maggiore soft power. Riescono più facilmente a stipulare e mantenere intatti accordi internazionali. Hanno meno probabilità di combattere guerre (almeno contro altre democrazie). E, quando le combattono, hanno più probabilità di vincerle.

Da queste singole considerazioni possiamo trarre una discussione più ampia sulla rispettiva resilienza di democrazie e autocrazie nelle grandi competizioni per il potere: e la conclusione cui giungiamo è che le democrazie hanno quasi sempre la meglio.

Dopotutto, non è un gran salto logico ritenere che Stati che hanno performance migliori sul fronte economico, diplomatico e militare escano meglio da una competizione per il potere di lungo termine. Quegli stessi vincoli al potere esecutivo e il rigoroso stato di diritto che alcuni potrebbero vedere come segni di debolezza sono, di fatto, la più grande forza di una democrazia. In altre parole, c’è più di una buona ragione a favore della democrazia.

Non è un sistema superiore solo perché protegge i diritti umani e le libertà civili. Ma anche e soprattutto perché è il più grande meccanismo mai inventato per accumulare potere, ricchezza e influenza sullo scenario mondiale.

Questa intuizione è corroborata da dati empirici. Gli autocrati possono eccellere nella guerra, ma alla fine non riescono a costruire una leadership duratura. Serse, Napoleone, Hitler, Stalin sono solo alcuni esempi di leader autoritari che hanno lanciato grandi campagne per il dominio del mondo, ma alla fine hanno fallito.

D’altro canto, gli Stati con forme di governo relativamente più aperte si sono spesso affermati come guide del sistema internazionale, da Atene alla Repubblica romana nel mondo antico fino all’Impero britannico e agli Stati Uniti in tempi più recenti. Secondo alcuni studiosi di relazioni internazionali, dal 1600 in poi lo Stato più potente al mondo è sempre stato il più democratico. Difficile sostenere che ci sia stato un record di imbattibilità per più di quattro secoli.

È vero però che la storia della civiltà occidentale può essere pensata come un passaggio della torcia dell’egemonia liberale da Atene a Roma fino a Venezia, Amsterdam, Londra e oggi a Washington Dc.

La più grande forza dell’America nella sua incombente competizione con la Russia e la Cina, allora, non risiede nel suo potere militare o nel suo peso economico, ma nelle sue istituzioni. Con tutte le sue mancanze, i fondamentali americani sono ancora più solidi di quelli di Russia e Cina. C’è quindi un’ottima ragione per credere che l’era americana durerà ancora e che la sfida autocratica russa e cinese sia destinata a esaurirsi.

 

Articolo adattato dal libro “The Return of Great Power Rivalry: Democracy versus Autocracy from the Ancient World to the US and China” (Oxford University Press, 2020).



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