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Il terrorismo biologico e il Covid. L’analisi di Dambruoso e Conti

Di Stefano Dambruoso e Francesco Conti

Con l’emergenza Covid-19 ancora in atto, molti analisti hanno richiamato l’attenzione sul rischio di attentati con armi biologiche da parte di organizzazioni terroristiche. Le armi biologiche sono definite come “organismi viventi o materiale contagioso derivato da essi, che hanno lo scopo di causare malattia o morte… che dipendono sull’abilità di moltiplicarsi all’interno delle persone”. Il timore, la paura sull’uso di armi sporche ha radici antiche: il Senato dell’Antica Roma aveva ammonito “armis bellanon veneris geri debere” (le guerre dovrebbero essere combattute con le armi, non con i veleni).

La preoccupazione sull’utilizzo di armi biologiche da parte di gruppi terroristi non è quindi nata dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. Già nel 1995 dieci membri della setta religiosa Aum Shinrikyō causarono la morte di 13 persone e oltre 6.200 intossicati disperdendo il gas sarin nella metropolitana di Tokyo.

Un grande panico si diffuse poi per attentati con l’antrace, sostanza che uccise cinque cittadini americani in una serie di attacchi con lettere anonime, alcuni giorni dopo l’11 settembre 2001. La caratteristica inquietante dell’antrace è la sua elevata capacità di resistere al di fuori di un ospite vivente, a differenza degli altri agenti biologici, come per esempio l’Ebola. Già nel 2014, con l’emergenza Ebola in Africa, analisti dell’antiterrorismo si erano chiesti se un tale virus sarebbe potuto esser utilizzabile come strumento di morte ad opera dei gruppi jihadisti attivi nella regione, in primis Boko Haram. Secondo Stephen Hummel, istruttore di chimica e scienze biologiche dell’accademia militare statunitense di West Point, il virus Ebola non sarebbe invece efficace quale arma biologica, nonostante la facilità con cui si può diffondere e la sua elevata mortalità. Infatti, data la complessità con la quale è possibile “coltivare” tale virus in laboratorio, l’unica possibilità sarebbe quella di utilizzare una smart bomb, cioè un individuo infetto da Ebola da usare per colpire persone e luoghi pubblici. Tuttavia proprio l’alta mortalità del virus e il fatto che esso abbia una limitata abilità di sopravvivenza al di fuori di un essere vivente non la rendono un’arma efficace. Esperti hanno anche constatato come il Covid-19, data la sua alta infettività, potrebbe facilmente ritorcersi contro eventuali terroristi che ne verrebbero infettati se lo utilizzassero per un attentato. Inoltre, la sua bassa efficacia letale rispetto a Ebola, peraltro riscontrata prevalentemente su persone anziane con pregressa morbosità lo renderebbe meno accattivante agli occhi degli stessi terroristi, nonostante il potente effetto destabilizzante sulle nostre sicurezze che un nuovo focolaio avrebbe soprattutto se creato appositamente man made.

La stessa al-Qaeda ha notato la debolezza dell’Occidente, cosmopolita e globalizzato, di fronte alla pandemia, sollecitando i cittadini dei Paesi occidentali a “riflettere sulla saggezza nascosta nella devastazione”. In un comunicato ufficiale dello scorso marzo, l’organizzazione facente capo ad Ayman Al Zawahiri, ha affermato di voler trasformare tale calamità “in una causa per unire i ranghi”. Anche lo Stato Islamico non ha tardato a pronunciarsi sull’emergenza coronavirus, descrivendola come una punizione divina contro i Crociati. Così come comunicato dall’organizzazione rivale Al Qaeda, l’Isis sembra aver utilizzato questo periodo proprio per riorganizzarsi nel teatro siro-iracheno, dopo le pesanti battute d’arresto degli ultimi anni. La coalizione dei Paesi Nato in Iraq ha infatti sospeso la maggior parte delle missioni militari e di addestramento, dando la possibilità ai miliziani del Califfo di poter incrementare la frequenza degli attacchi nelle zone più remote del paese.

Lo Stato Islamico non è estraneo all’utilizzo di armi non convenzionali, avendo utilizzato nel teatro siro-iracheno, agenti chimici tra cui gas mostarda e cloro come munizionamento per ordigni esplosivi improvvisati (in gergo IED) o per mortai. L’organizzazione è inoltre consapevole dell’effetto distruttivo, non solo sulle vite umane ma anche sull’economia, che tali attacchi avrebbero in Occidente. La possibilità che affiliati dell’Isis utilizzino armi biologiche su suolo europeo, seppur remota, non è puramente teorica, come dimostra l’arresto di un aspirante attentatore di cittadinanza tunisina, Sief Allah, che a Colonia (Germania) nel giugno 2018 aveva programmato l’attacco utilizzando la ricina, proteina tossica che si può ottenere dai semi del ricino. Sief Allah si era procurato il materiale necessario per costruire un ordigno biologico via internet, ma era tuttavia sotto controllo dall’antiterrorismo tedesco, in quanto già segnalato come presunto foreign fighter. L’uomo aveva infatti tentato, senza successo, di raggiungere i territori sotto controllo dello Stato Islamico nel 2017, come tanti suoi connazionali avevano già fatto in passato (i tunisini sono stati uno dei contingenti di foreign fighter più numerosi). A distanza di poco più di tre mesi, la minaccia di un attentato con la ricina si è palesata anche sul nostro territorio. Il 28 novembre 2018, infatti, un cittadino palestinese è stato arrestato nel nuorese sospettato di aver progettato un attacco con ricina, antrace e un pesticida, probabilmente contro delle riserve idriche locali. Per gli investigatori i due terroristi arrestati erano entrambi in contatto con esponenti dello Stato islamico nel teatro mediorientale ed avevano entrambi una vasta mole di materiale jihadista nei loro computer e smartphone (non solo testi propagandistici ma anche manuali operativi per pianificare attentati). La raccolta di indizi da parte dell’intelligence e sviluppata dalla polizia giudiziaria, coordinata dalla Procura della Repubblica nuorese, non è però apparsa idonea alla magistratura sarda che ha disposto la liberazione, con contestuale provvedimento di espulsione dal territorio italiano. Entrambi gli attentati sarebbero stati perpetrati da singoli individui, rendendo evidente che l’utilizzo di ordigni biologici non è di esclusiva pertinenza di gruppi organizzati con ingenti risorse o con personale con background in chimica. Il trend dei cosiddetti “lupi solitari” supportati da individui all’estero è confermato anche dalla più recente relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza del Dis, che ha rilevato un aumento degli attentati commessi da singoli attentatori nel 2019, pur trattandosi di attacchi caratterizzati da bassa sofisticatezza. L’Europol ha inoltre evidenziato anche un aumento della propaganda terroristica e dei manuali in materia Nbcr (nucleare, batteriologico chimico e radiologico).

Per quanto riguarda il nostro Paese le agenzie di intelligence e i reparti di antiterrorismo delle forze dell’ordine sono costantemente in allerta per scongiurare tali minacce. Anche il Decreto Sicurezza del 2018 (legge 132/2018) contiene anche una disposizione che rafforza le componenti Nbcr della Polizia di Stato e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nell’ottica del contrasto al terrorismo internazionale.

Va anche tenuto in considerazione quanto si è appreso grazie all’intelligence raccolta dall’ufficio di New York City dell’Fbi che ha rivelato come gruppi neonazisti e suprematisti bianchi avrebbero esortato i loro membri positivi al coronavirus a cercare di infettare membri delle forze dell’ordine ed ebrei. 

In conclusione, non appare improprio affermare che il Covid-19 ci lascerà con la maturata consapevolezza della vulnerabilità umana unitamente alla constatazione di potenziali folli strategie terroristiche.

 

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