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Detrazioni delle spese culturali: una “risoluzione”?

Una risoluzione unitaria della Commissione Cultura della Camera impegna il Governo – tra le altre cose –
“al fine di scongiurare il rischio che i cambiamenti contingenti nei comportamenti di consumo diventino strutturali al termine dell’emergenza, a valutare l’adozione di misure specifiche a sostegno della domanda di prodotti culturali, come la detrazione a fini fiscali dei consumi di cultura (libri, dvd, biglietti, giornali e altro) e la riduzione al 4 per cento dell’imposta sul valore aggiunto su tutti i prodotti culturali, previa verifica di compatibilità comunitaria”

Un passo avanti importante il quale tuttavia parte da lontano e distante da questo periodo emergenziale. La necessità delle agevolazioni fiscali era stata evidenziata in “tempi non sospetti” per permettere al comparto una concreta ripresa soprattutto dall’inerzia generale che aveva costretto taluni professionisti a sgolarsi alla ricerca di una quadra da sottoporre ai decisori evidentemente distratti da “concomitanti impegni” ritenuti poi più importanti delle misure che si commentano. Tra utopia e disincanto si è sempre sperato in uno scatto di vitalità, in una presa di coscienza, di dare sostanza normativa alle reiterate dichiarazioni di intenti. E’ comunque il momento di continuare a vigilare poiché la valutazione governativa non sarà delle più semplici non per la difficoltà della decisione, ma per il rischio di ulteriori rimandi a data da destinarsi mentre tutto è arido in attesa di un efficiente ed efficace impianto di irrigazione. La possibilità di detrarre le spese culturali al pari di quelle mediche oltre a consentire un maggiore “investimento” collettivo, restituisce il senso della cultura che cura, oltre la forza di slogan ad effetto spesso cosmetico. Quello che ci vuole è veramente è un approccio “farmacologico” con interventi sostenibili e radicali per un generale ripensamento che possa dare benefici sia agli operatori culturali che ai consumatori. Basti pensare alla crisi del cinema e del teatro, quest’ultimo più dipendente dagli abbonamenti che con la detraibilità potrebbero essere appetibili e contribuire significativamente ad alimentare non solo le speranze , ma anche le certezze dei lavoratori del comparto, già normalmente in crisi e con divari tra piccole e grandi realtà.

Anche la riduzione al 4 per cento dell’imposta sul valore aggiunto su tutti i prodotti culturali si inserisce in questo quadro di alleggerire le spese per aumentare la disponibilità economica di ciascun fruitore al fine di una maggiore propensione al consumo culturale. Come è noto chi spende in prodotti culturali vorrebbe poter spendere di più e meglio e in tempi di generale crisi, occorre agevolare in primo luogo coloro che normalmente destinano le proprie risorse alle “occasioni” culturali, ma la portata di un provvedimento di riduzione fiscale impatterebbe anche sugli scettici che di fronte alla diminuzione dei costi potrebbero identificarsi quali nuovi e abituali acquirenti con reciproci vantaggi. Ecco anche in questo vi sarebbe una cura culturale, un farmaco con effetti collaterali finalmente positivi che non nuoce alla salute ma la migliora e con essa il benessere della collettività.

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