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L’F-35 sul Covid-19. Le mosse di Lockheed Martin e i moniti di Trump

Trecento milioni di dollari per preservare la catena di fornitura dai venti di crisi da Covid-19. Li ha annunciati oggi Lockheed Martin, il campione della Difesa a stelle e strisce, mandando tra le righe un messaggio anche al presidente Donald Trump, che due giorni fa aveva lanciato frasi criptiche sul programma F-35, spiegando di voler spostare la filiera all’interno del territorio nazionale. I 300 milioni vanno aggiunti ai 450 già stanziati in pagamenti anticipati ai sub-contractor, sulla scia delle indicazioni del Pentagono per evitare impatti sul sistema industriale. Si affiancano alle 3.400 assunzioni che l’azienda ha realizzato dall’inizio della pandemia, nell’ambito delle 12mila previste entro la fine dell’anno.

LE PAROLE DI TRUMP

Numeri che si legano al dibattito recente. Hanno fatto discutere (negli States e oltre) le dichiarazioni di martedì scorso di Donald Trump sul programma F-35. In un’intervista per Fox Business Network, rispondendo a una domanda sugli incentivi per le industrie nazionali (e su come slegarsi dalle forniture cinesi), il presidente ha detto di poter fare “centinaia di esempi di studipità”. Tra questi ci sarebbe il proprio Joint Strike Fighter: “È un grande velivolo e ne realizziamo parti in tutto il mondo”, ha detto, citando tuttavia solo la Turchia. Il ché, a detta del presidente, sarebbe un problema, imputabile al presidente “Obama e ad altri” che “pensavano fosse una cosa meravigliosa”. Il problema è “che se abbiamo problemi con un Paese, non possiamo fare il velivolo”, ragion per cui “dovremmo fare tutto negli Stati Uniti”. “Lo possiamo fare?”, ha chiesto l’intervistatrice. “Sì – ha risposto Trump – perché stiamo cambiando tutte queste politiche”.

IL MESSAGGIO PER ERDOGAN…

Tra le righe, si scorgono almeno tre messaggi. Il primo, probabilmente dominante nell’intenzione di Trump (così dicono gli osservatori d’oltreoceano), è tutto per l’interno, diretto a rafforzare l’idea di un presidente determinato a sostenere l’economia americana e i posti di lavoro sul territorio nazionale. Il secondo è per Ankara, unico dei partner del programma citato dal presidente. “Ho un buon rapporto con il presidente Erdogan”, ha detto Trump durante l’intervista. Eppure, il tema F-35 è finito da oltre un anno nel vortice del peggioramento delle relazioni tra i due Paesi, con l’esclusione di Ankara dal programma avviata a giugno dello scorso anno, quando si realizzavano le prime consegne del sistema russo S-400. Lo scorso novembre, mentre Trump riceveva Erdogan alla Casa Bianca, il responsabile del Pentagono per il programma F-35 Eric Fick riferiva al Congresso di aver individuato le alternative ai contributi industriali offerti dalla Turchia. Sebbene il presidente turco non abbia smesso di lodare il velivolo, il tema resta congelato, ed è probabile che Trump gli abbia voluto dare una scaldata.

…E PER GLI ALTRI PARTNER

Il terzo messaggio è diretto agli altri partner del programma, tra cui spiccano di questi tempi Italia e Regno Unito. Londra è in posizione scomoda per il mancato blocco a Huawei per l’infrastruttura 5G nazionale (stabilendo solo che il suo coinvolgimento non potrà essere superiore al 35% e non riguarderà gli elementi centrali). La Casa Bianca ha già fatto sapere di voler verificare se gli assetti americani non debbano essere a tal proposito ritirati dal territorio britannico. Pochi giorni fa, il senatore Tom Cotton ha proposto un emendamento al National defense authorization act (Ndaa) per l’anno prossimo che, se approvato, bloccherebbe il dispiegamento degli F-35 americani nella base britannica di Lakenheath. Da qui all’esclusione dal programma il passo potrebbe non essere tanto lungo.

AMBIGUITÀ ITALIANA?

Per la penisola, il richiamo è a un atteggiamento ancora troppo ondivago sull’F-35. È di due settimane fa l’interrogazione firmata da 50 senatori M5S al ministro Lorenzo Guerini per chiedere di sospendere il programma per un anno e di rivalutarlo nel suo complesso così da destinare più risorse alla sanità. La maggioranza ha affrontato il tema lo scorso novembre, trovando un compromesso sulla “valutazione nel tempo”. Il Pd, non a caso, ha fatto fronte compatto criticando la nuova iniziativa pentastellata, con l’aggiunta (su queste colonne) della presidente della commissione Difesa a palazzo Madama Laura Garavini, senatrice di Italia Viva. Nonostante ciò e le rassicurazioni del ministro (sempre favorevole al mantenimento degli impegni), l’immagine che arriva oltreoceano (anche a causa di un’ambiguità di fondo del presidente del Consiglio) potrebbe non essere di estrema affidabilità. Alla luce delle parole di Trump, ciò potrebbe essere un rischio per il coinvolgimento del comparto nazionale, dal sito novarese di Cameri a tutta la filiera coinvolta.

GLI ERRORI DI TRUMP

In ogni caso, le parole riservate all’F-35 dal presidente americano nell’intervista a Fox sono state ben analizzate da Valerie Insinna per Defense News. Il primo punto riguarda la natura globale al programma, che risale alla nascita stessa del Joint Strike Fighter, quando si stabilì di incentivare la partecipazione internazionale per due ragioni. Primo, spiega la giornalista che segue da anni il dossier, da una prospettiva industriale, avere una catena di fornitura globale “multilayered” permette a Lockheed Martin di evitare meglio interruzioni e di agevolare la distribuzione di parti di ricambio ai clienti internazionale. Secondo, a livello strategico, permette di rafforzare i rapporti con gli alleati e i partner-chiave, dando vantaggio operativo nelle azioni comuni.

LA COLPA DI OBAMA?

È sbagliato anche il riferimento a Barack Obama (confermando l’impressione che le parole di Trump siano state dirette soprattutto agli elettori americani). L’origine del programma, ricorda Insinna, è ben precedente al 2009. La vittoria di Lockheed Martin nella gara Jsf risale al 2001, quando gran parte della catena di fornitori e partner era già stata definita. Infine, risulta errato anche il riferimento alla Turchia. Il Pentagono ha già individuato fornitori sostituivi del contributo delle aziende di Ankara. Inoltre, il corpo centrale del velivolo fatto dalle Turkish Aerospace Industries è realizzato negli Stati Uniti anche da Northrop Grumman che potrebbe facilmente incrementare la produzione.

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