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Armi del futuro e nuove strategie. Così le Forze speciali Usa raccolgono la sfida cinese

Dalla “guerra al terrore” al confronto con la Cina. Negli Stati Uniti, anche le Forze speciali si riadattano al mutato contesto internazionale, non senza preoccupazioni per gli equipaggiamenti necessari a fronteggiare il Dragone. La scorsa settimana, è andata in scena virtualmente (causa Covid-19) l’edizione 2020 della Special operations forces industry conference (Sofic), organizzata dalla National Defense Industrial Association per fare il punto sul comparto. Tra rappresentanti industriali e vertici militari, ne è emersa l’esigenza di un riadattamento complessivo della proiezione (e degli assetti) delle Forze speciali americane.

SE CAMBIA IL PIVOT

Tutto nasce dallo spostamento del pivot americano verso l’Asia e Pacifico, La National defense strategy (Nds) del Pentagono, rilasciata a gennaio 2018, è tutta focalizzata sulla competizione con la Cina (e con la Russia), in scia alla precedente e più ampia National security strategy (Nss) firmata dal presidente alla fine del 2017. In realtà, il “pivot to Asia” (con il collaterale ridimensionamento della presenza di Medio Oriente e Africa) fu inaugurato dal segretario di Stato Hillary Clinton ai tempi della prima presidenza Obama. Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, ha tuttavia accelerato i propri connotati.

…E IL FATTORE ESPER

Furono proprio i piani del presidente per ridurre gli impegni in Medio Oriente a portare nel 2018 alle dimissioni l’allora capo del Pentagono, il generale James Mattis. L’attuale segretario alla Difesa, Mark Esper, ha invece spostato la linea del presidente. Lo scorso ottobre, in conferenza stampa da Kabul, Afghanistan, spiegava di aver chiesto a tutti i comandanti di individuare modalità per liberare “tempo, denaro e forza lavoro da mettere sulle priorità indicate nella National Defense Strategy: numero uno la Cina, numero due la Russia”. Su questa scia si inseriscono i ridimensionamenti annunciati e previsti dall’Afghanistan alla Siria, fino all’Africa occidentale. Ciò ha chiamato tutte le diramazioni della Difesa statunitense a ripensarsi (qui un focus sui Marines), sia in ottica di strategie, sia di capacità operative.

LE FORZE SPECIALI AMERICANE

Lo stanno facendo anche le Forze speciali americane, secondo il Financial Times, pari a circa 70mila unità con un costo annuale di 13 miliardi di dollari su un bilancio (quello del Pentagono) che supera ampiamente i 600. Rispondono allo Special operations command (Socom), il comando unificato, con carattere combatant, guidato dal generale Richard Clarke. Ha responsabilità sui militari probabilmente più iconici del potere Usa: i Navy Seals, i Berretti verdi dello Us Army, i Raider del Corpo dei Marines e altre varie unità di tutte le Forze armate. Dall’11 settembre 2001, si sono adattate alla stagione della “guerra al terrore”, prevalentemente con missioni “kill-capture” come quella che nel 2011 portò i Navy Seals nel covo di Osama Bin Laden, o quelle condotte negli ultimi anni contro l’Isis. Il confronto con la Cina è però evidentemente diverso. Gli Stati Uniti “hanno bisogno di sviluppare nuove capacità per competere e vincere”, ha detto il generale Clarke durante la conferenza della scorsa settimana.

LE CAPACITÀ RICHIESTE

Le capacità richieste dal vertice del Socom includono assetti per il confronto nello spazio cibernetico, nonché strumenti per il contrasto alle campagne di influenza, disinformazione e propaganda condotte dagli avversari su più domini. “Forse siamo più indietro di quello che pensiamo”, ha avvertito il colonnello Michael McGuire, direttore degli sviluppo combat per il Socom. Preoccupano le capacità dei competitor in campo informatico e nelle “soft-power tactics” che potrebbero “aprire fessure in alcune delle nostre alleanze”. In tali campi, ha suggerito McGuire nella più tradizionale deterrenza, bisognerebbe spostare il focus dalla difesa all’attacco. La linea di sviluppo delle Forze speciali è comunque dibattuta.

LE TECNOLOGIE DEL FUTURO

Come nota il FT, alla conferenza Sofic gli analisti ed esperti militari si sono divisi tra chi sostiene che debbano specializzarsi maggiormente in operazioni psicologiche e informatiche, e chi ritiene che sia necessario un salto tecnologico su armamenti tradizionali, tra assetti stealth a bassa osservabilità, piccoli elicotteri d’assalto (svelato il concetto per il Future little bird) e tecnologie per lo “smart soldier”. Quest’ultimo concetto si inserisce nel programma Hyper Enabled Operator (Heo), finalizzato a creare piccole unità dotate di tecnologie all’avanguardia, sempre connesse in un’Internet of Thing militare con i centri di comando e controllo (dotati di capacità di analisi Big data) per avere accesso real time a un’enorme quantità di informazioni. Sostituisce il progetto “Iron Man” lanciato nel 2013, che puntava allo sviluppo di una dotazione per operazioni d’assalto concentrata in un’armatura futuristica, simile a quella del famoso eroe della Marvel.

LA COLLABORAZIONE CON L’INDUSTRIA

In ogni caso, l’obiettivo di breve termine è rafforzare il coordinamento con l’industria, in modo da accelerare i tempi di ricerca e sviluppo su tecnologie richieste dalle Forze speciali. È per questo che durante le giornate Sofic, il comando guidato dal generale Clarke ha presentato “Engage Sof”, una nuova piattaforma web (ben protetta) per lo scambio rapido di input e feedback con il mondo industriale. Sostituisce l’ufficio Technology & Industry Liaison del Socom, con l’obiettivo di dare rapidità alla condivisione di informazioni e orientare le scelte industriali.

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