Cè un’anomalia che contraddistingue questa crisi: quella sanitaria, ormai si spera alle spalle, e quella economica incipiente e drammatica. Mai nella storia della Repubblica, infatti, un’emergenza era stata affrontata senza un coinvolgimento delle opposizioni, e anzi in uno scenario intensificato di lotta politica. Se a questo si aggiunge l’elemento non irrilevante che l’attuale governo ha una legittimità costituzionale, ma non politica, si può dire che stiamo affrontando la peggiore crisi di sempre con il governo più debole possibile.
Il Presidente della Repubblica, che è per Costituzione il garante dell’unità nazionale, ha colto subito la contraddizione, invitando il governo a collaborare con le opposizioni sin dai primi giorni dell’emergenza. Nonostante qualche timido tentativo iniziale, la collaborazione ha presto ceduto il posto a una divisività ogni giorno più lacerante. Né si è concretizzata in nessuna azione legislativa concreta. È possibile continuare così, ora che le morsa della crisi comincerà a farsi sentire pesantemente? Ed è possibile che lo scenario sia ancora lo stesso nel momento in cui, si spera presto, arriveranno miliardi, si spera tanti, da allocare in un progetto di rinascita complessiva del Paese?
Con una positiva coincidenza, il giorno stesso in cui, con lo show del deputato grillino Riccardo Ricciardi alla Camera, lo scontro fra il governo e le opposizioni raggiungeva il suo acme, il deputato di Italia Viva, l’ex radicale Roberto Giachetti, lanciava la sua proposta di un dialogo vero fra governo e opposizione che preveda come suo asse portante l’affidamento a Giancarlo Giorgetti, il leader dialogante e ragionevole della Lega, della presidenza di un ristretto comitato sul “decreto Rilancio” da costituire in seno alla commissione Bilancio.
Si tratterebbe di una sorta di disarmo multilaterale o cessazione delle ostilità fra governo e opposizione. Giachetti è andato poi sempre più puntualizzando nei giorni a seguire la sua proposta, definendola come assolutamente personale e non impegnante il suo partito.
Come interpretare tutto questo? Prima di tutto, è altamente improbabile, per non dire impossibile, che Giachetti non abbia avuto prima di muoversi il beneplacet preventivo di Renzi, il quale ha ritenuto di non mettere direttamente la faccia su quella che è una proposta al momento solo “esplorativa”. È altresì evidente che l’operazione è solo in apparenza diretta contro Matteo Salvini, presentandosi come tesa a sganciare l’ala più “moderata” della Lega dalla posizione in sostanza senza sbocchi politici che predomina allo stato attuale nella Lega.
In verità, il vero obiettivo di Renzi-Giachetti è il nemico di sempre del senatore di Rignano, Giuseppe Conte, che egli intende disarcionare perché lo vede, con un suo ipotetico ma altamente probabile “partito personale”, diretto concorrente per la leadership dell’Italia riformista, liberale, cattolico-progressista. Un sentiero molto stretto quello che Renzi sta provando da tempo, senza successo, a percorrere: prevede la caduta del governo, ma non lo sbocco elettorale che significherebbe probabilmente la fine definitiva del suo partito (che non riesce a sfondare minimamente, stando ai sondaggi, nel corpo elettorale).
Allo stato attuale questo sentiero può passare per una sola direttrice, che probabilmente il Presidente della Repubblica avallerebbe se le forze politiche principali fossero disponibili: un governo di unità nazionale da LeU alla Lega appunto (difficilmente il partito di Giorgia Meloni ne farebbe parte). Mandare avanti Giorgetti potrebbe, in verità, essere una soluzione anche per il Capitano, che sembra molto dibattuto sulla linea da seguire. Anche se ha troppo fiuto politico per non capire che aveva ragione Giulio Andreotti nel dire che il potere logora chi non ce l’ha.
Il “logoramento” lentamente per la Lega è già iniziato, come attestano sempre i sondaggi, e continuare in questa situazione per altri tre anni potrebbe chiudere per sempre le porte del governo. La testa di Conte, il suo arcinemico, sarebbe poi, come per Renzi, un risultato non irrilevante anche per Salvini, seppure per lui più da un punto di vista simbolico.
A parte i tatticismi politici, ponendoci in un’ottica metapolitica, cioè guardando agli interessi reali del Paese, credo che il governo di unità nazionale sia, per la nostra sopravvivenza, davvero indispensabile.