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L’amore per la pace e per i poveri di Giovanni Paolo II. Il ricordo di Impagliazzo (Sant’Egidio)

“Se desideri la pace, va’ incontro ai poveri”. Uno degli aspetti che talvolta rischia di passare in ombra di Giovanni Paolo II, e che è quindi motivo maggiore di sottolineatura nel centenario della sua nascita, è l’amore che il Papa polacco ebbe, nella sua vita e durante l’intero suo Pontificato, per i poveri e per la pace. Due caratteri evangelici che hanno permeato l’insegnamento fortemente radicato in Cristo di Karol Wojtyla. Caratteristiche ricordate anche da papa Francesco nella Messa presieduta in mattinata nella cappella della Basilica di San Pietro dove è la tomba di papa Wojtyla. “La preghiera, la vicinanza al popolo, e l’amore alla giustizia” sono i tre elementi di Giovanni Paolo II sottolineati stamane dall’attuale Pontefice. Che ha spiegato: “San Giovanni Paolo II era un uomo di Dio perché pregava e pregava tanto”.

IL DIALOGO PROMOSSO DALLA COMUNITÀ AUXILIUM

Il dialogo promosso dall’Auxilium attraverso i propri canali social, organizzato e coordinato dal fondatore della cooperativa Auxilium Angelo Chiorazzo, è un ricordo del Papa polacco anche attraverso un’immersione nella realtà delle varie strutture che compongono l’universo della cooperativa sociale, nate sulla spinta del Pontificato memorabile di Wojtyla, in questo periodo ricordato come “Il Grande”. Volti, storie, voci di operatori e di ospiti, di racconti e sensazioni, tutti legati da un filo comune, che è quello della figura di Giovanni Paolo II e del suo messaggio lasciato all’umanità.

Fu il Papa polacco che ha incontrato più persone al mondo, per il numero sterminato dei suoi viaggi apostolici: così lo ricorda il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo. “Il principale tratto umano di Giovanni Paolo II è stato l’ascolto. Ascoltava tutti e poi traeva le sue conclusioni. Immaginiamoci quante persone sono state a Messa da lui”. Ascolto cioè “della Parola di Dio, dei segni spirituali e degli uomini e delle donne che gli si trovavano davanti”, commenta Impagliazzo.

IL RICORDO DEL PAPA POLACCO E L’AMICIZIA CON SANT’EGIDIO

Wojtyla fu infatti molto vicino alla Comunità di Sant’Egidio, come Sant’Egidio fu vicina al Papa polacco, fin dal primo incontro in una scuola del quartiere romano di Garbatella. Vicinanza dovuta anche al radicamento di Sant’Egidio nella capitale italiana, centro della cristianità. “È stato un rapporto molto naturale”, spiega Impagliazzo. “Giovanni Paolo II, arrivato a Roma, cercava i giovani, e si era reso conto che all’epoca i movimenti giovanili non venivano tanto alla luce. Una delle sue opere da vescovo di Roma è stata di fare emergere un mondo giovanile, cristiano, cattolico e legato ai movimento. La militanza e appartenenza di tanti giovani nei movimenti era secondarizzata finché non è arrivato lui”.

Il radicamento a Roma della comunità trasteverina è stato però anche il lancio per l’azione di cooperazione e solidarietà  di Sant’Egidio in tutto il mondo. “La Chiesa è l’unica che ha una propensione internazionale nel mondo. Dove si è cattolici si è una comunità, ovunque. E il centro passa qui per Roma”, commenta il presidente Impagliazzo. Che ricorda: “Giovanni Paolo II disse: non posso comandare lo Spirito Santo, devo lasciarlo stare”. Fu perciò così che “ha incoraggiato movimenti, laicato, santuari, parrocchie. Ha saputo tenere insieme questi aspetti che magari erano non concorrenziali ma certamente non si parlavano, e lui spinse a camminare tutti insieme. Mise insieme tutto quello che fa parte della vita della Chiesa”.

LA FIGURA DI WOJTYLA E L’ATTUALITÀ

In questi giorni, poi, la figura di Wojtyla continua a porre a dibattito questioni di carattere sociale, politico, insomma è capace di tornare con forza al centro dell’attualità e delle problematiche che si stanno vivendo. “Giovanni Paolo II non è stato così amato come oggi”, ricorda però, un po’ controcorrente, Impagliazzo. “All’inizio veniva chiamato il polacco, perché dopo cinque secoli arrivava un Papa non italiano. Poi, alla fine, ci fu la sua dura battaglia per la pace, e la Curia romana non aveva affatto le sue stesse idee sulla pace a tutti i costi”.

Considerazioni, quelle di Impagliazzo, approfondite dal Vescovo della diocesi Tursi-Lagonegro Vincenzo Orofino, amico della comunità Auxilium. “Giovanni Paolo II fu una personalità non definibile, non schematizzabile”, ricorda monsignor Orofino. “Andavi per definirlo tradizionalista, e ti sorpassava a sinistra. Appena lo catalogavi come progressista, ti portava all’origine dell’insegnamento cristiano. Noi giovani ci sentivamo sicuri, presi per mano e condotti. I suoi insegnamenti erano la bussola per operare. Ricordo ancora i numeri delle pagine in cui le sue parole fondamentali erano segnate nei libri che studiavo. Segnò un tempo forte, sicuro, baldanzoso, lui che era anche un attore, imprevedibile, ma che faceva sentire tutti sicuri”.

IL RICORDO DELLA PREGHIERA DI ASSISI

Un lungo pontificato che per alcune generazioni ha segnato gran parte della vita, come ricorda il vaticanista del Tg1 Ignazio Ingrao. “Dell’incontro di Assisi, in una giornata segnata dalla pioggia, si ricorda il primo sentire di un’apertura universale alle altre religioni. Mentre c’era il muro di Berlino, una guerra fredda, una cappa d’incertezza. Sentirsi in questa realtà ecumenica fu una grande scoperta”, ricorda Ingrao.

“Poi nell’87 ci fu la Giornata mondiale della Gioventù a Buenos Aires. A livello ecclesiale sentimmo il cattolicesimo veramente come universale”. Un cammino che ha portata fino al 2005, con la malattia, i mesi finali del Suo pontificato e infine la morte. “Ricordo quella grandissima emozione di vedere una risposta corale, un senso di perdita da parte di tanta gente di fronte alla morte di Giovanni Paolo II. Che però non si è tradotto in sentirsi orfani, perché grazie alla canonizzazione c’è stata restituita questa figura come punto di riferimento”.

IL RAPPORTO CON L’ISLAM

Entrando sul difficile tema del rapporto con l’Islam, tornato in auge in questi giorni in particolare per via del caso Silvia Romano, tra le domande degli ascoltatori e degli operatori ne emerge una: come avrebbe accolto Wojtyla la giovane Silvia Romano? “Il Papa avrebbe risposto come ha risposto il cardinale Bassetti: è figlia nostra”, risponde senza alcun dubbio il presidente della Comunità di Sant’Egidio. “Lasciatela stare, dobbiamo volerle bene e basta. Una persona che ha vissuto così grande sofferenza lontana dalla famiglia in condizioni terribili: è nostra figlia”.

La preghiera per la pace di Assisi, infatti, fu un momento spiazzante: il capo della Chiesa che invita tutti i leader del mondo per la pace. Prima del quale fece due gesti: il viaggio in Marocco nel mese di agosto, con il discorso ai giovani marocchini, per la maggior parte musulmani. Poi la prima visita di un Papa a un tempio ebraico, “accolto da tutta la comunità romana e particolarmente dal rabbino Elio Toaff, che è stato l’unico ad essere ricordato dal Papa nel suo testamento”, spiega Impagliazzo.

GLI ANNI DELLA GUERRA FREDDA

“La preghiera di Assisi arrivò durante la guerra fredda, con il rischio di una guerra nucleare, e la retorica del pacifismo sembrava nelle mani dei Paesi comunisti ma era nel dna del cristianesimo e di ogni religione”, ricorda Impagliazzo. “Cominciammo allora insieme a pregare non più gli uni contro gli altri ma gli uni accanto agli altri, senza nessun sincretismo, ognuno secondo la sua fede e tradizione religiosa ma tutti per la pace. Una preghiera che si deve accompagnare alle azioni di pace. Quando ricordo bene di averlo incontrato, disse a me e Andrea Riccardi: non abbiamo pregato invano ad Assisi”.

Un’immagine forte del Papa polacco ci richiama alla sua sofferenza negli ultimi anni di vita. “Ha sofferto tanto ma non ha mai ostentato la sua sofferenza, che è una delle circostanze nella vita che il Signore offre in quel momento”, è la narrazione nel ricordo offerto del vescovo Orofino. “Il Signore va servito nella circostanza della sofferenza, ma vivendola come se fosse orientata ad altro, a molto di più. La sofferenza ha fatto parte della sua vita. E ci dice come anche in questo momento una religione più o meno consolatoria, pietistica, tappabuchi, non serva a nessuno. Giovanni Paolo II ci ha insegnato che la fede è nella vita delle persone sempre, e che va vissuta come una circostanza in cui servire il Signore”.

LA CHIESA OGGI E LA FORZA DI COSTRUIRE LA PACE

Poi l’attualità. “Il 26 aprile il comunicato di Conte ci ha fatto arrabbiare perché mostrava l’irrilevanza della Chiesa”, commenta il vescovo. “Non siamo solo quelli che portano i pacchi per l’elemosina. In questo momento occorre ritornare al centro, e Giovanni Paolo II con la sua sofferenza ha tenuto Cristo al centro. Non ha mai dato troppo spazio alle occasioni più o meno felici della vita. Era un uomo fondato antropologicamente sulla persona di Cristo. La Redemptor Hominis è cristocentrica ma per l’uomo. È la chiave di lettura di tutto il suo Pontificato, insieme allo sguardo prospettico verso il futuro”.

La pace, infatti, conclude il religioso, “ha il volto di chi la costruisce, come il male di chi lo compie. Giovanni Paolo II parlava dell’importanza della pace nel mondo ma anche della prossimità. La pace nasce da un’impostazione della vita, non nasce casualmente. La prossimità è il motivo della vera missione, e come all’epoca diceva anche La Repubblica, Wojtyla aveva gli attributi per governare il mondo. Dentro questa forza e ricchezza c’era la grazia di Dio. Era un uomo che amava la sua umanità perché aveva incontrato Cristo”.


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