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Giovanni Paolo II, la politica e quel rimpianto per il Cremlino. Parla Gawronski

Di Jas Gawronski

La prima volta che ho incontrato Giovanni Paolo II ero corrispondente della Rai a Varsavia, dove avevo già conosciuto il cardinale Wyszynski, la mente politica della lotta al comunismo della Chiesa polacca. Allora Wojtyla era vescovo di Cracovia, lo incontrai due volte con il suo segretario, Stanislao Dziwisz, oggi cardinale di Polonia.

Quando fu eletto papa, dopo poco tempo ricevetti una chiamata proprio dal suo segretario: il papa mi dava appuntamento a Castel Gandolfo. Arrivai alle 18, e lo aspettai in piedi, nella sala da pranzo. Sentii il passo delle sue scarpe pesanti, faticai a tirare fuori le parole per l’emozione.

Ma Wojtyla, come tutte le grandi personalità, aveva la capacità di mettere a loro agio i suoi interlocutori, e così fu per me allora. Terminato il colloquio alle 19, mi chiese di trattenermi a cena: da quel momento è iniziato un rapporto umano che non si è più interrotto.

Mi sono sempre domandato come mai mi abbia ricevuto a cena così tante volte. Credo che la ragione principale fosse che ero nipote di Pier Giorgio Frassati, fratello di mia madre, da lui beatificato e ammirato come esempio e ispiratore della sua religiosità. A ogni nostro incontro non mancava di ricordarlo!

È stato spesso detto che papa Giovanni Paolo II era un papa “moderno”, e in parte è vero. Come capo della Santa Sede, ha decentrato il potere del Vaticano, ha ridato potere agli episcopati locali. Un gesto che forse è stato la naturale conseguenza dei suoi lunghi e innumerevoli viaggi per il mondo, che gli hanno permesso di rendersi conto delle singole necessità delle chiese locali.

Era moderno nella sua semplicità. In fondo aveva in sé le caratteristiche e le qualità dei suoi due successori. Giovanni Paolo II era un filosofo più che un teologo, ma aveva la profondità di pensiero di Benedetto XVI, così come la grande semplicità comunicativa di papa Francesco. Anche questo non è un dettaglio:eravamo abituati a papi che venivano portati sulla sedia gestatoria, oggi sembra passato un millennio da quei tempi.

Qualcuno ha provato a leggere la figura di Wojtyla con le categorie del progressismo e del conservatorismo, ma in verità non è mai stato facile da etichettare, perchè nel suo pontificato convivevano entrambi gli aspetti. Ha conservato il magistero della Chiesa, ed è stato al contempo un papa aperto, liberale, che per primo ha riconosciuto gli errori storici della Chiesa, che ha dialogato con ebrei, musulmani, ortodossi.

Ha viaggiato in un centinaio di Paesi, una cosa senza precedenti. Ha avuto un solo rimpianto: avrebbe voluto visitare Mosca, camminare fin sotto il Cremlino, stringere la mano al patriarca e chiudere questa millenaria divisione fra cattolici e ortodossi, celebrando insieme la messa nella cattedrale di San Basilio, sulla piazza Rossa.

Woytila viene infine ricordato come un papa “politico”. Su questo non ho mai avuto dubbi: nelle due interviste che gli ho fatto, di due ore l’una, non abbiamo mai affrontato temi religiosi. Credo che la sua politicità derivasse anzitutto dall’aver vissuto sotto un regime comunista per molti anni.

Giovanni Paolo II aveva un fiuto politico eccelso. Lo ha dimostrato nei suoi viaggi in Polonia, soprattutto quando ha tenuto il celebre discorso nella piazza principale di Varsavia, di fronte a due milioni di persone. Fu un discorso perfetto: una parola in più, e il popolo sarebbe insorto, una in meno, e lo avrebbero accusato di collusione con i comunisti.

Personalmente, ho sempre considerato Wojtyla come un capo politico, prima ancora che un capo religioso. Per questo non ho ben compreso un processo di canonizzazione così rapido. Giovanni Paolo II era già famoso e amato da tutti, forse sarebbe stato meglio aspettare qualche anno in più per farlo santo.

Ho avuto tanti incontri con il papa nei miei anni da giornalista. L’ultima volta che lo vidi i segni della malattia erano già visibili, era ormai era spossato dal male,  e rimasi impressionato da come, fino all’ultimo, fosse riuscito a trasformare la malattia in un trionfo. La gente non sentiva pietà, ma ammirazione per quell’uomo.

Questa sua tempra  era la stessa tempra del popolo polacco, del suo popolo. Una volta, mentre si discuteva dell’entrata della Polonia in Europa, gli chiesi chi avrebbe avuto più da guadagnare, tra le due parti. Non esitò un attimo: “L’Occidente”, rispose. Perché l’Europa dell’Est aveva sofferto sotto il dominio comunista, ma si era anche temprata nella fede. E, Wojtyla ne era convinto, è quando l’uomo è in difficoltà che si rivolge a Dio con più convinzione.



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