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Guerra fredda? Troppo presto per dirlo. Parla Halevy (ex Mossad)

“Penso che il paragone tra la Guerra fredda e il rapporto attuale tra Stati Uniti e Cina sia sfortunato e un modo per sfuggire a questa situazione”. A parlare è Efraim Halevy, dal 1998 al 2002 a capo del Mossad, che è stato ospite della conferenza di apertura di una serie di webinar intitolata “China in the Mid-Med Series” e organizzata da ChinaMed, un progetto del Center for Mediterranean Area Studies dell’Università di Pechino e del Torino World Affairs Institute, parte del TOChina Hub sviluppato dall’Università di Torino. A condurre i lavori di questa serie di incontri (di cui Formiche.net è media partner esclusivo), Enrico Fardella, professore associato del dipartimento di storia dell’Università di Pechino, il professore Ori Sela, direttore del dipartimento di East Asian Studies della Tel Aviv University, e il professor Brandon Friedman, director for research del Moshe Dayan Center della Tel Aviv University.

In queste settimane lo scontro tra Stati Uniti e Cina è diventato sempre più evidente, in particolare sulle origini del coronavirus. “La storia di ciò che è successo davvero a Wuhan non è ancora venuta a galla e la Cina non offre alcuna trasparenza e collaborazione”, ha spiegato Halevy. Che però consiglia di non avere fretta: “Non sappiamo ancora come andrà a finire”, ripete spesso con molto cautela, anche quando si tratta di analizzare la tenuta della leadership del presidente cinese Xi Jinping. A dimostrazione di quanto la situazione sia complessa e in grande evoluzione.

“La Guerra fredda ha rappresentato uno scontro tra due modi di vivere”, ha spiegato l’ex direttore del Mossad. Oggi siamo davanti “a un confronto prolungato ed è troppo presto per giudicare”, ha aggiunto sottolineando però come entrambe le parti abbiano “molti interesse per evitare” di arrivare a quel livello di scontro che contraddistinse il conflitto tra l’Occidente a guida statunitense e l’Unione Sovietica dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Quando si parla della sfida tra Stati Uniti e Cina, spesso si pensa agli investimenti esteri. In questo senso, lo Stato di Israele sta lavorando per implementare un meccanismo simile al Comitato per gli investimenti esteri degli Stati Uniti (Cfius). Un tema di grande attualità soprattutto dopo la visita del segretario di Stato americano Mike Pompeo nei giorni precedenti il giuramento del nuovo governo guidato da Benjamin Netanyahu. In cima all’agenda del capo di Foggy Bottom c’erano le telecomunicazioni e la costruzione del più grande impianto di dissalazione al mondo che sorgerà a Sud di Tel Aviv. Sul primo tema, come raccontato da Formiche.net, Israele deciderà a breve; sul secondo invece ha già scelto affidando a una società israeliana (e non alla favorita cinese) il progetto.

“Servirà molto tempo a Israele per questo”, ha spiegato Halevy parlando del meccanismo Cfius e sottolineando le difficoltà di Gerusalemme “di trovare la strada per raggiungere l’obiettivo senza perde prestigio in entrambe le direzioni”, con gli Stati Uniti e con la Cina. Anche se, “non c’è discussione” sul rapporto speciale tra Israele e Usa, ha sottolineato: tanto che Israele non ha aderito alla Via della seta, tiene a evidenziare Halevy rispondendo a una domanda sulla firma italiana del Memorandum d’intesa a inizio dell’anno scorso sulla quale, però, preferisce non commentare essendo decisioni di un altro Paese.

Ecco il video completo dell’intervista nella quale Halevy ha affrontato diversi temi: dallo scontro Usa-Cina alla situazione in Medioriente e il piano di pace nella regione proposto dal presidente Donald Trump, dalle tensioni tra Israele e palestinesi al tempo del coronavirus fino alle debolezze e le sfide delle democrazie liberali.

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