Libia e Cina ma anche Venezuela. Sono questi tre i temi di politica estera su cui le diverse anime della maggioranza di governo, partendo da posizioni spesso antitetiche, dovranno presto trovare un’intesa. Entro luglio sarà da rinnovare (o meno) il memorandum con la Libia, Paese in cui gli ultimi sviluppi bellici hanno visto un intensificarsi degli sforzi di potenze straniere. Più urgente è la questione cinese, dopo che l’amministrazione statunitense ha dichiarato che “Hong Kong non è più autonoma”. Sullo sfondo, il tema venezuelano.
Formiche.net ne ha parlato con Gennaro Migliore, deputato di Italia Viva e membro della commissione Esteri della Camera.
Migliore, per Italia Viva è tempo di rivedere l’intesa con la Libia del 2017?
Ormai da un anno è conclamata una guerra che vede pesanti intromissioni della Turchia da una parte e della Russia assieme a Egitto ed Emirati Arabi Uniti dall’altro. La situazione non può più essere rappresentata dal memorandum sottoscritto nel 2017.
Serve una revisioni degli impegni italiani?
Sì, e per due ragioni. La prima: abbiamo interessi nazionali da difendere e non possiamo lasciare che il nostro principale interlocutore, cioè il governo di Tripoli, diventi un di fatto avamposto della Turchia di fronte alle nostre coste. La seconda: serve ripensare al tema dei migranti e dei diritti umani anche alla luce di quanto si è verificato, come per esempio dell’individuazione dei centri migranti come target militari.
Come si sta muovendo il governo in questo senso?
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ci ha detto che ci sono in campo proposte per rivedere il memorandum. Quindi aspettiamo di vederle e se condividerle. Non possiamo dimenticare però il tema del Sahel visto il rischio infiltrazioni di organizzazioni terroristiche che rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale.
Parliamo di Cina. È possibile trovare una posizione comune nel governo su Hong Kong dopo le ultime mosse di Pechino che di fatto segnano la fine di “un Paese, due sistemi”?
Penso sia necessario, visto che pur mantenendo buoni rapporti con la Cina non possiamo condividerli certi atti unilaterali. Al di là delle singole questioni, però, dobbiamo ribadire il nostro orientamento euroatlantico che deve presidiare ogni nostra valutazione e iniziativa di politica estera. Per questo motivo, anche la vicenda di Hong Kong non può essere trattata — come improvvidamente si potrebbe pensare da parte di qualcuno — come questione di politica interna della Cina.
Viste le tensioni tra Stati Uniti e Cina, questa potrebbe essere un’occasione di mediazione per l’Unione europea?
Noi come Unione europea abbiamo una lunga tradizione di soft power. Per questo motivo è auspicabile l’individuazione di strategie che possano favorire il dialogo e far assumere all’Europa maggior protagonismo. Non dobbiamo però avere un atteggiamento opportunistico evitando contraddizioni, visto che sia tanto contrario alla politica dei dazi del presidente Donald Trump quanto convinti della nostra collocazione di solido alleato degli Stati Uniti. In questo caso dobbiamo far prevalere l’esigenza di riconoscimento delle priorità, in particolare quella dei diritti umani.
Ma si potrà trovare una coerenza nella politica verso la Cina tra i 27 Stati membri?
A maggior ragione dopo la crisi da coronavirus, la dimensione europea si sia fortemente rafforzata anche nella percezione delle persone. E questo deve avere un riverbero anche nelle relazioni tra l’Unione europea e il resto del mondo, in particolare con Stati Uniti e Cina. Così come si sta cambiando la politica economica, si dovrà cambiare anche l’atteggiamento in politica estera. Ci siamo resi conto che i Paesi europei singolarmente contano ben poco e riescono a risolvere i problemi molto meno rispetto a quanto si può fare tutti assieme.
Cambiamo per l’ultima volta teatro. Il Venezuela di Nicolás Maduro continua ad attaccare il leader dell’opposizione Juan Guaidó. Anche su questo fronte il governo non appare molto coeso. Qual è la direzione?
È indispensabile affermare un principio di legalità in Venezuela, anche perché la nostra preoccupazione principale rimangono le persone che in quel Paese non hanno le necessarie tutele. In questo senso, auspico una iniziativa dell’Unione europea che consenta di celebrare presto elezioni libere e democratiche. In questo, le limitazioni che sono intervenute nella gestione concentra del potere da parte di Maduro rappresentano un vulnus rispetto all’atteggiamento della comunità internazionale nei confronti del Venezuela. Così come sugli atteggiamenti del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei confronti dei curdi. In casi come questi l’Europa deve tenere presente che esiste soprattutto in quanto potenza democratica.