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Il rilancio parte da qui. Come fare.

Mentre la politica, i governi, il management delle grandi aziende hanno più volte ripetuto che la formazione e il capitale umano sono centrali, hanno allo stesso tempo speso meno soldi pubblici per la scuola e l’università, sbagliato le priorità e chiuso inoltre le più grandi scuole di Alta formazione manageriale che hanno fatto grandi le imprese italiane degli anni Sessanta e Settanta, ricorda sempre il sociologo De Masi in riferimento alla Marentino della Fiat, fresca della sua richiesta di prestito al Governo Conte, o la Reiss Romoli della Telecom, che oggi piange la scomparsa di Mauro Sentinelli, l’inventore delle Sim Card ricaricabili.

Il ministero dell’Istruzione da solo perde davvero di visione, sarebbe da unire allo sviluppo, al lavoro, al turismo, poi sembra diventato il ministero dell’esame di Stato – per pensare al capitale umano non basta approccio interno alla scuola, lo vedo anche nel sindacato quanta fatica per tenere insieme i temi del mercato del lavoro, i docenti sono abbandonati a se stessi. Non basta approccio culturale. Che pure sarebbe il caso avessero i ministri. Serve capovolgere l’organizzazione ma su questo ho la nausea per quante volte l’ho scritto, credo che Luciano Fontana a cui è toccato fare le due prefazioni agli ultimi miei libri, sappia le mie idee a memoria ormai. Alcune sono state messe nero su bianco su un seguitissimo spazio del sito del Corriere della sera, dedicato alle comparazioni internazionali, di cui si inizia a risentire il bisogno.

Perché gli indirizzi hanno irrigidito non creato flessibilità (in grado di rispondere a esigenze aziendali, del territorio, dello studente). Il formalismo dei riti conta più delle cose sostanziali. Purtroppo. Nell’attuale impalcatura. Dunque si deve innanzitutto intervenire in quello, che è una rivoluzione come quella del mondo del lavoro che ha spostato dal “dove” al “cosa” perché altrimenti pure avendo i soldi, non funziona. Pure dotando le scuole di tecnologia e degli insegnanti di skills tecniche, il buco nell’acqua. Continuano a non sapere cosa farsene, se la scuola è fatta di pagelle,di classe che non ha livelli di apprendimento. Non prevede pause di studio e poi gli esami. Non conta su momenti di verifica che determinano il passaggio al livello successivo per materia, e non per anno scolastico. E altre cose noiose che a noi sembrano pure amenità ma che sono costitutive dei sistemi. In assenza dei quali, il concetto di capitale umano non esiste per loro perché non è d’aiuto quando a ogni trimestre, e quadrimestre si deve mettere voti, e una volta constatate le carenze, non è mai più previsto che vengano recuperate, si trascinano dietro.

Anche a dare soldi, senza idea di insieme, fanno bella la seconda sala informatica mentre restano in classe, tutti nella stessa, a seguire tutti lo stesso ritmo nonostante qualcuno su una materia sarebbe nettamente avanti e avrebbe bisogno di approfondire come i suoi coetanei europei, di Singapore, del Canada. E gli altri di poter ripetere quel modulo, mentre nell’altro insegnamento sono loro i “primi dell’ora di …”. 

Questo abbatterebbe di molto anche la dispersione e l’abbandono, come è provato dalle comparazioni. 

Premierebbe il merito e non lascerebbe nessuno ultimo. Il docente sarebbe meno frustrato avendo davanti studenti più motivati. E questi seguirebbero percorsi allora sì più personalizzati. Il che sarebbe liberatorio anche per far decollare l’apprendistato di I livello. Oggi come fai a staccarti per un monte ore dal gruppo classe per andare in azienda, e a seguire a scuola materie più consone alle esigenze che stai sperimentando fuori? 

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