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L’età dell’oro tra Uk e Cina è finita. Il tory Damian Green spiega perché

Nel Regno Unito, Paesi tra i primi a chiedere un’indagine internazionale sulle responsabilità del governo di Pechino nella pandemia di coronavirus, è nato il China Research Group, un gruppo di deputati conservatori decisi a ripensare il rapporto tra Regno Unito e Cina. Il presidente è Tom Tugendhat, che è anche presidente della commissione Esteri della Camera dei Comuni. Segretario è Neil O’Brien, ex consigliere del cancelliere George Osborne. Assieme a loro ci sono altri membri influenti del Partito conservatore come Anthony Browne, consulente economico del premier Boris Johnson quando questi era sindaco di Londra, e Damian Green, nel 2017 First Secretary of State (vice de facto) dell’allora premier Theresa May.

Tra i loro obiettivi a breve termine c’è quello di bloccare l’ingresso di Huawei nel mercato 5G britannico. Vista anche la reazione degli Stati Uniti alla decisione del governo britannico di concedere uno spazio al colosso cinese seppur limitato agli elementi non centrali dell’infrastruttura e il suo coinvolgimento non potrà superare il 35%: Washington ha infatti avvertito Londra che potrebbe dover fare a meno della condivisione di informazione di intelligence (oltre che gli F35 dispiegati sulla HMS Queen Elizabeth). A lungo termine, invece, regna una certezza: “L’età dell’oro tra Regno Unito e Cina è finita”, spiega Green in un colloquio telefonico con Formiche.net.

Onorevole Green, perché avete deciso di istituire questo gruppo?

Pensiamo che cambiare il nostro rapporto con la Cina rappresenti la più importante sfida in politica estera per il prossimo decennio. Per 20 anni, noi occidentali abbiamo sperato che coinvolgendo la Cina nel nostro sistema economico, loro iniziassero a comportarsi da Paese normale secondo le regole globali. Ma è evidente che con Xi Jinping questo non accadrà. La crisi del coronavirus ha dimostrato che i cinesi sono diventati più aggressivi, più antioccidentali e determinati a utilizzare la loro forza economica per promuovere esclusivamente i loro interessi.

Che cos’è cambiato dai tempi del premier David Cameron e del suo cancelliere George Osborne che tanto si erano spesi per rafforzare i legami tra Regno Unito e Cina?

I cinesi non hanno mostrato alcun segnale di reciprocità. La loro presenza nel Regno Unito e i loro legami con l’establishment britannico si sono rivelati essere soltanto a beneficio degli interessi cinesi, non di quelli condivisi. Noi del China Research Group siamo convinti che sia tempo di resettare la visione di Cameron e Osborne, la cosiddetta età dell’oro dei rapporti tra i due Paesi, che non accadrà.

Quali settori sono interessati dal vostro lavoro?

Il nostro obiettivo ultimo è coprire tutti i settori, l’ampio spettro dei rapporti economici. Le due grandi aree sono economia e sicurezza. Ma ovviamente ci sono temi più urgenti, come per esempio il 5G e il ruolo di Huawei, che siamo impegnati a fermare non appena il governo presenterà la legge al Parlamento.

Spesso si è parlato della Cina come un’opportunità per il Regno Unito post Brexit. Che cosa cambia con il coronavirus?

Penso che per molti questa visione sia cambiata. Nelle fasi iniziali abbiamo visto la Cina molto reticente, poi è diventata spietata e prepotente per cercare di fermare le critiche internazionali. Basta guardare il modo molto aggressivo in cui hanno reagito contro Australia e Svezia. Il China Research Group è composto da membri del Partito conservatore all’interno del quale, indipendentemente dalla posizione pro o contro la Brexit, c’è molto sostegno per il nostro lavoro.

Il suo collega Neil O’Brien, anch’egli membro del gruppo, ha evocato, parlando con lo Spectator, la miniserie tv Chernobyl facendo un parallelismo tra Unione Sovietica e Repubblica popolare cinese. Stiamo vivendo una seconda Guerra fredda?

Non proprio. Rischiamo però di entrarci. Ma spero proprio di no. Molto sta ai cinesi: se vogliono continuare a colonizzare pezzi di mondo — la Via della Seta è diventata questa cosa qui — allora noi abbiamo l’obbligo di affrontarli. Molte istituzioni britanniche devono ripensare il loro rapporto con la Cina ed essere molto più attente. Per esempio, l’Imperial College (le cui ricerche sul coronavirus sono utilizzate anche dal governo britannico, ndr) poche ore fa ha annunciato un accordo di sponsorizzazione da 5 milioni di sterline con Huawei, che finanzierà la ricerca. È uno dei molti casi che dimostrano come il governo cinese stia cercando di acquisire influenza nelle istituzioni britanniche. È una cosa piuttosto discutibile, non penso che l’Imperial College avrebbe dovuto accettare.

Le chiedo la stessa cosa che lo Spectator ha chiesto a O’Brien. Il premier Boris Johnson vi darà ascolto? Il suo collega ha risposto che non sa.

Sì, penso di sì. Sicuramente in questo momento ha altri pensieri, visto la crisi di coronavirus. Sappiamo che non accadrà tutto in una notte, ma vogliamo mettere insieme una quantità di prove che convinceranno il governo a un reset nelle relazioni con la Cina.

Il 4 giugno il governo britannico ospiterà una conferenza della Gavi alliance per mobilitare almeno 7,4 miliardi di dollari nella ricerca di vaccini, per la riduzione delle disuguaglianze e per la sfida di un mondo più sicuro. Il premier Johnson si è speso molto ma il summit di inizio maggio è stato snobbato da diversi Paesi, tra cui la Cina. Sta emergendo un isolazionismo cinese?

Temo di sì, visto che la Cina non sta contribuendo molto agli sforzi internazionali per un vaccino. E se continuano su questa direzione nazionalistica, si collocano nuovamente, da soli, fuori dalla comunità internazionale quando è evidente che il mondo ha bisogno che i Paesi agiscano assieme. 

Questa crisi dimostra che è tempo di rivedere le regole del multilateralismo?

La Cina rimarrà un attore fondamentale per almeno un secolo, dobbiamo averci a che fare. Ma dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento, dobbiamo accettare che la Cina non ha alcun interesse a giocare secondo le regole del multilateralismo.

(Foto: Official portrait, UK Parliament)



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