“Quando tutto è perduto, tutto diventa possibile”
Robert Inman
La pandemia che ci ha sorpreso in questi mesi è solo l’ultimo evento di un flusso incontrollabile e continuo. A partire dall’attentato dell’11 settembre, tutta la Storia dei primi 20 anni del XXI secolo sembra essere caratterizzata da una progressiva scomparsa dei meccanismi di produzione di certezze. Lasciandoci soli in mezzo ad una serie di tempeste che si abbattono con ondate successive sul nostro mondo.
Purtroppo era già successo: all’inizio del XX secolo molte cose sembravano vere e oggettive ma alla metà del ’900 erano già diventate illusorie, imprevedibili, indeterminate. Un problema, vero? Forse, ma solo dimenticando che, in quel periodo, la scienza ha fatto i progressi maggiori dall’inizio della storia dell’uomo: medicina, cosmologia, meccanica quantistica, solo per ricordarne alcuni. E questi progressi sono stati ottenuti attraverso un solo sistema di riferimento: la consapevolezza della profonda instabilità del futuro. Accettare l’incertezza per dare un significato ad una realtà che non era mai stata compresa così a fondo in precedenza.
Analogamente, il futuro dopo la pandemia è un flusso di eventi che ci racconta una cosa importante: un nuovo virus ha spazzato via tutte le nostre presunte certezze. Come uno tsunami che si abbatte sulla nostra costa. Sconfitti e impauriti, ci dobbiamo allora arrendere all’incertezza? E’ difficile da dire, ma la cosa più importante è uscire dal guscio e provare a scrivere nuovi libri. Tanto quelli vecchi li abbiamo già letti tutti. E non sono purtroppo serviti.
Ma su quali meccanismi fondare questa nuova visione del mondo? Intanto bisogna partire da una cosa semplice: il mondo attuale, se pensiamo alla pandemia, ai mercati o alla crisi economica, sembra caratterizzato da due variabili difficili da controllare: un numero sempre crescente di elementi/soggetti in gioco e l’aumento delle loro interconnessioni. Il mondo ha sempre più abitanti che si stanno connettendo insieme. Il lockdown di questa pandemia è stato il più grande esperimento sociale della Storia: 4 miliardi di persone che si connettono a rete scambiando dati, informazioni e conoscenza. La prima prova concreta comprensibile a livello globale dell’interdipendenza, la rete che ormai lega ogni persona a tutte le altre.
D’altra parte le nostre frontiere, i nostri confini, i nostri sistemi tecnologici subiscono quotidianamente l’impatto di nuove forze: virus, invenzioni, migrazioni, solo per citarne alcune. Dobbiamo prendere atto che la realtà è una sola: viviamo in un sistema strutturalmente instabile di cui dobbiamo accettare la reale imprevedibilità. Con una ulteriore consapevolezza: se la complessità fosse ingestibile e finisse per sfociare solo nel caos, non esisterebbero la Rete, i mercati o le filiere globali.
Certo l’incertezza è grande. Molti pensano di potersi tutelare dall’instabilità chiudendosi all’interno di sistemi chiusi, in castelli fatti di convenzioni che li tranquillizzano. Un sistema che, come quello dei lockdown, può anche funzionare per un certo periodo, Ma, alla fine, quando succede un imprevisto, un cambiamento casuale o una tensione sociale, non riescono a selezionare le idee nuove. Perché sono sistemi chiusi.
Questo ci sta insegnando la pandemia: in un sistema di elementi mescolati in maniera quasi sempre imprevedibile, non riusciamo a rispondere a tutte le domande sul futuro e, dunque, dobbiamo imparare a pensare in modo diverso. Ci ammaliamo? Dobbiamo sviluppare una serie di meccanismi “antivirus” che offrano, come fa il nostro sistema immunitario, una reazione a più livelli capace di individuare i problemi, di adattarsi per riuscire a limitare i rischi che essi comportano.
Ecco perché dobbiamo abbandonare l’illusione di poter impedire le minacce e insistere invece nel rendere più resistenti e flessibili le nostre organizzazioni, in modo da poter assorbire qualsiasi imprevisto che ci colpisca. D’altra parte, quando un sistema crolla è molto difficile riportarlo allo stadio iniziale: è la seconda legge della termodinamica, la legge dell’entropia. È difficile incollare di nuovo i pezzi di un piatto, una volta che si è rotto. Si può fare ma non sarà mai come prima. Il saldo entropico è sempre negativo, purtroppo.
È per questo che, proprio nel momento in cui abbiamo sperimentato la più grande “chiusura” della Storia, è necessario comprendere che dobbiamo invece ampliare le nostre interazioni con il resto del mondo perché è il modo migliore per acquisire nuove competenze e fare nuovi collegamenti, invece di concentrarci solo sul minor numero possibile di pericoli. È il potere della diversificazione. Se riusciremo a trovare velocemente una cura o un vaccino, sarà solo perché mai tante persone interconnesse insieme li stanno cercando.
Qui sta il paradosso più innovativo dell’era delle reti: più siamo tutti strettamente connessi, fisicamente e digitalmente, e meno siamo ipoteticamente sicuri. Perché le reti sono fatte per propagare e amplificare non solo la conoscenza e l’innovazione, ma anche i disturbi, le interferenze, gli shock. Anzi, il pericolo è molto più forte e sottile. Più efficienti sono le reti, più velocemente i pericoli si diffondono. Le interconnessioni, come i legami tra broker e banche o la salute di ogni singolo passeggero su un volo a lunga distanza, sono piattaforme di interconnessioni che diffondono i rischi.
In un sistema lineare semplice si possono monitorare gli effetti di una crisi come se si seguisse un percorso di tessere del domino che cadono una dopo l’altra. Ma in una società strutturata in una rete di connessioni infinite, animata da un cambiamento incessante, una predizione del genere è pura fantasia. Più strettamente siamo legati insieme, più rischiamo di diventare forti e deboli nello stesso tempo.
Con un corollario ineludibile: non possiamo sperare di gestire o controllare sistemi che sono miliardi di volte più complessi degli strumenti di governo che possiamo dispiegare, come individui o anche come Stati. Cosa fare allora? Dobbiamo provare a pensare in modo diverso. In un sistema complesso, quando si distribuisce il potere invece di concentrarlo si scoprono vantaggi imprevisti. Perdere il controllo per governare il flusso. Sarà il fattore critico di successo della Fase 2 e 3.
Dobbiamo auto-organizzarci e renderci sicuri a rete. Pensate alla natura e all’insieme di strutture e connessioni auto-organizzate e efficientissime che rappresenta. Un solo esempio: lo squalo e il pesce pilota. Uno dei più grandi esempi di “architetture della collaborazione”. Quando tutti si impegnano, gli imprenditori/fruitori smettono di essere produttori/consumatori e diventano partecipanti. La collaborazione competitiva è quel sistema aperto che consiste nel superare lo scoglio che generalmente blocca i processi evolutivi: il fatto che le informazioni più vitali siano controllate solo da poche persone.
Ecco perché nei sistemi aperti si annidano i vantaggi più importanti dell’era delle reti: la conoscenza, la libertà e la conseguente consapevolezza dell’essere ormai connessi e interdipendenti per sempre.