Quando iniziò la legislatura, ormai due anni fa, qualcuno pensò che la forza che aveva conquistato una ampia maggioranza di seggi in Parlamento non avrebbe perso l’occasione storica che le si presentava: che era non solo di cambiare radicalmente la classe dirigente italiana, ma di imporre al Paese quella svolta che da tempo chiedeva. L’immissione di aria di fresca, gente nuova, ci fu e massicca, e quelli che fino al giorno prima erano “illustri sconosciuti” ricoprirono posti di responsabiltà di prima fila. Si capì tuttavia che saremmo andati presto incontro tutti a una nuova illusione. Furono molto più avveduti coloro che capirono subito che la quadratura del cerchio è impossibile in politica, che la realtà non ammette sconti (leggi: semplificazione di problemi complessi), che la storia non fa salti (la casalinga di Voghera può certo governare, siamo in democrazia, ma prima deve apprendere i fondamentali del mestiere).
In sostanza, se non hai cultura politica, se sei in preda a pregiudizi che ti offuscano la mente, se sei scelto con meccanismi di selezione poco chiari e tutto sommati casuali, non potrai andare troppo tempo avanti. E infatti il Movimento Cinque Stelle ha perso il suo capitale di credibilità e il suo pacchetto di voti con una rapidità impressionante: i suoi leader, che abbiamo intanto imparato a conoscere, hanno detto e si sono contraddetti, hanno tradito le promesse più solenni che avevano fatto, sono caduti spesso vittima delle lusinghe del potere che avevano criticato, hanno dimostrato un’incapacità e un’imperizia governativa che ha dissolto in un nonnulla il dogma dell’”uno vale uno”.
Hannno nel frattempo sperimentato due diversi e antitetici alleati governativi, facendosi schiacciare dal primo e cercando (forse per non ripetere l’esperienza) di imbrigliare in ogni modo il secondo e condannando tutti all’inazione. Intanto, il capo politico che si erano scelti è stato sostituito da uno che non facesse ombra a nessuno degli altri big, ma che mal si è adattato a questo ruolo di comprimario (si fa per dire) e ogni giorno fa pesare il suo “sacrificio”. Contemporaneamente, si sono visti crescere così tanto l’”uomo senza qualità” che si erano scelti come front-men che ora se lo trovano in parte come alleato e in parte come competitor.
L’ala più movimentista e radicale, quella del “ritorno alle origini”, non si è certo acquietata e ha continuato ad essere una spina nel fianco e a combattere ogni compromesso governativo, ammansita ogni tanto con qualcuna delle tante nomine statali o pastatali che il Movimento si è trovato a gestire.
Nemmeno la più grave emergenza presentatasi al Paese da quando cessò la guerra, ha creato rinsavimento. E le vicende di questi giorni, con un decreto d’urgenza che non riesce ad essere partorito e che, qualora lo sarà, risulterà non solo insufficiente ma anche tardivo, ne sono la plastica dimostrazione. Qualcuno parla e annuncia scissioni ormai prossime, divisioni su alleati e su politiche, inimicizie tanto profonde per quanto ipocritamente gestite. I Padri fondatori non controllano più la barca, ammesso e non concesso che prima lo facessero. Ma anche loro idee chiare certo non hanno.
Più che travagli, quella interna al Movimento è ormi una guerra per bande. Il loro sfarinamento e la loro forse prossima débacle rischiano però questa volta di coincidere con la débacle del Paese e di una classe dirigente che voleva essere nuova ma non era né classe (una vaga sommatoria di interessi personali) né tanto meno dirigente.
Siamo tutti, pentastellati e non, in procinto di andare a sbattere. Ma viviamo come se nulla fosse, in attesa di andarci. Fra un selfie (rigorosamente in mascherina), una dichiarazione avventata e un post carino da collocare su Facebook. Ecco, almeno su questo, l’esperimento grillino è riuscito.