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La pressione degli Usa su Bruxelles per le sanzioni (e Mosca non gode…)

Neppure il coronavirus impedisce a chi calpesta i diritti umani di continuare a farlo. E l’Unione europea non può restare a guardare, dicono alcuni eurodeputati e pure gli Stati Uniti. Allora, perché lo fa?

Nell’agosto dell’anno scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva accusato la Russia di violazione dei diritti umani di Sergei Magnitsky, avvocato russo oppositore del presidente Vladimir Putin morto in carcere dieci anni prima, nel 2009, in circostanze sospette dopo essere stato arrestato nel 2008 con l’accusa di frode fiscale. Nel 2012, dopo gli sforzi di Bill Browder, uomo d’affari amico di Magnitsky che ha presentato il caso ai senatori Benjamin Cardin (democratico) e John McCain (repubblicano), il Congresso statunitense ha approvato in maniera bipartisan il Magnitsky Act (obiettivo: punire i funzionari russi ritenuti responsabili della morte di Magnitsky, vietando loro di entrare negli Stati Uniti e utilizzare  fondi su conti correnti bancari americani), ampliato quattro anni più tardi dal Global Magnitsky Human Rights Accountability Act, che permette all’amministrazione di Washington di sanzionare funzionari governativi di Paesi stranieri implicati in violazioni dei diritti umani, in qualsiasi parte del mondo essi risiedano.

Diversi Paesi, anche alcuni Stati membri dell’Unione europea, hanno già adottato leggi simili. L’Unione europea non ancora. Nel dicembre 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, i ministri degli Esteri dell’Ue avevano approvato all’unanimità la proposta olandese per un atto legislativo simile. Nel marzo 2019 il Parlamento europeo aveva votato una risoluzione a favore di un regime di sanzioni in nome di Sergei Magnitsky. A dicembre, invece, l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell aveva spiegato che “su richiesta di numerosi Paesi, abbiamo concordato di iniziare i lavori per la creazione di un regime di sanzioni globali in materia di diritti umani, che sarà simile al Magnitsky Act degli Stati Uniti”. In quell’occasione Borrell aveva anche sottolineato come l’Ue abbia già regimi di sanzioni simili, per esempio contro i responsabili di uso o diffusione di armi chimiche aggiungendo: “La presenza di tale strumento ci consentirà di rispondere a gravi violazioni dei diritti umani”.

Poche settimane fa alcuni deputati europei, come raccontato da EuObserver, hanno scritto all’Alto rappresentante Josep Borrell per ribadire che il coronavirus non ferma gli abusi: “Non possiamo dimenticare le continue violazioni dei diritti umani che si verificano in tutto il mondo per mano di dittatori e cleptocrati”. E nelle scorse ore sono intervenuti con una lettera i senatori statunitensi Roger Wicker (repubblicano, presidente della Commissione Helsinki) e Benjamin Cardin (democratico) per invitare il segretario di Stato Mike Pompeo a chiedere alla controparte europea, Josep Borrell, di accelerare le procedure per l’adozione di un sistema sanzionatorio comunitario che porti il nome dell’avvocato e attivista russo.

Come mai queste nuove pressioni nonostante le rassicurazioni di Borrell a dicembre? Una fonte europea indica a Formiche.net la risposta che l’Alto rappresentante diede ai giornali proprio a fine 2019 annunciando l’intesa tra i 27 per avviare la discussione: “Se un Paese dovesse dichiarasi contrario, verrà deciso di non avviare tal processo” perché “questa decisione richiede l’unanimità”. “C’è ampio consenso”, diceva Borrell. Ma il coronavirus sembra non aver fermato non soltanto chi calpesta i diritti umani ma anche gli sforzi di chi, quella legge in nome dell’oppositori di Putin, proprio non la vuole. 


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