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Ecco il Primo maggio (povero) dell’Italia. Il commento del prof. Nappi

Di Severino Nappi

Se Totò fosse ancora tra noi rivendicherebbe il copyright: 50 anni fa in Miseria e Nobiltà Don Felice, scrivano sotto la galleria del San Carlo, cacciava il contadino dopo aver scoperto che era talmente in difficoltà da non poter pagare nemmeno lui. A parte l’elegante pochette, il nostro premier purtroppo sta replicando quella scena.

Dopo innumerevoli Consigli dei ministri – compresi quelli stop-and-go, sospesi a metà per le troppe liti – un numero indefinito di conferenze stampa a reti unificate all’ora del tg, regole cambiate continuamente e 6 diversi modelli di autocertificazioni, cominciano ad arrivare solo i primi “aiuti”. Più che aiuti, sono un “aiutino”: seicento euro per pochi fortunati. Non sono nemmeno sufficienti a pagare un affitto.

Per i disoccupati e i pensionati siamo addirittura alla pacca sulla spalla. Ai dipendenti non è andata molto meglio. Il pagamento della Cassa integrazione di marzo non è arrivato per tutto il mese di aprile. Migliaia di lavoratori trascorreranno questo primo maggio senza i soldi che erano stati loro promessi allora – dallo Stato, quello stesso che riconosce la giornata odierna come festa nazionale – per “venti giorni dopo”.

È un primo maggio senza certezze. Perché tra i “diritti” che si dovrebbero festeggiare oggi c’è quello di poter avere certezze sul salario, un futuro. Oggi, invece, il primo maggio 2020, centinaia di migliaia di lavoratori non sanno se spetterà loro la cassa integrazione anche per questo mese, come pure era stato loro promesso. Dovremmo festeggiare i lavoratori e i tanti, troppi, non-lavoratori con un governo che si muove con un fuso orario tutto suo: basta pensare che il famoso “Decreto Aprile” è diventato “Decreto maggio”.

I professionisti, invece, il lavoro se lo troveranno da soli. E sì perché, tra fallimenti annunciati e procedure tortuose per accedere al credito, le imprese di questo Paese dovranno per forza affidarsi ai loro consulenti per provare a spuntare qualcosa. Altro che finanziamenti subito. Infarcito di impicci e ambiguità, esclusioni e distinguo, il decreto Liquidità pare fatto apposta per consentire al sistema bancario di nascondersi nelle pieghe del “faremo sapere” in nome di quel famoso merito creditizio che da anni strangola le pmi italiane per garantire sonni tranquilli ai banchieri europei. Insomma, se tutto va bene, le imprese che hanno bisogno di liquidità adesso, rischiano di vedere qualcosa a giugno.

Il problema qui però non è solo di incompetenza, ma anche di una furbizia, francamente irritante. Queste misure vuote e lente sono accompagnate da una grancassa mediatica che spara cifre enormi, millanta interventi e attenzione alle persone, si nutre di conferenze stampa a tarda sera e di rituali che stridono con un serpeggiante sentimento di disperazione. Il paradosso è che quello che davvero sta tenendo uniti e sopratutto calmi gli italiani è sopratutto la paura della malattia, grazie alla quale le persone stanno accettando di restare a casa e i mille altri sacrifici che questo momento sta imponendo. Senza una visione strategica e strumenti adeguati in grado di indirizzare la ripresa, quando tutto questo sarà finito, cosa resterà?

Ci ritroveremo con un’Italia più povera, aziende fallite, milioni di disoccupati e un debito pubblico che, secondo Goldman Sachs, sarà salito al 144%, con un balzo in avanti di 9 punti. Mentre il Pil, per ammissione dello stesso governo, crollerà di 8 punti. Per una crisi senza precedenti servono misure senza precedenti. Ma soprattutto, serve più coraggio.

Ora che è partita la grancassa governativa della trattativa con l’Europa con la storiella del “quarto pilastro” sulla ricostruzione, per coprire il drammatico ingresso dello spettro Mes nella gestione finanziaria del nostro Paese, qui da noi si faccia almeno la prima cosa che è realmente necessaria per cambiare le regole del gioco. Eliminiamo il filtro della burocrazia: altro che carrozzoni di 20 “esperti” pure per stabilire se apre prima l’industria meccanica o quella siderurgica. Se Conte&co. non sanno come fare, facciano un fischio. C’è un intero sistema Paese pronto a fargli capire come.

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