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Referendum ed elezioni regionali. Perché l’accorpamento sarebbe un errore

Di Andrea Pruiti Ciarello

Abbiamo assistito, per tutta la Fase 1 dell’emergenza Covid-19, ad una straordinaria limitazione dei diritti costituzionali, riconosciuti in capo a ciascuno direttamente dalla Costituzione. Queste limitazioni sono state imposte con atti amministrativi del presidente del Consiglio dei ministri e di alcuni ministri. Abbiamo assistito, pertanto, ad un sostanziale annichilimento del Parlamento con corrispondente accrescimento dei poteri dell’esecutivo. Tutto ciò è avvenuto secondo prassi costituzionale? Noi crediamo di no, ma sarà la storia a dirlo.

Oggi, avviata da pochi giorni la Fase 2, si torna a parlare di elezioni e referendum.

Facciamo un passo indietro. La legge costituzionale recante “modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 12 ottobre 2019, è stata approvata al Senato della Repubblica, a maggioranza assoluta ma senza tuttavia raggiungere la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

Tale condizione, ai sensi dell’art.138, comma 2, della Costituzione, ha consentito la possibilità ad un quinto dei componenti del Senato della Repubblica, di potere chiedere l’indizione di un referendum costituzionale, al fine di consentire ai cittadini di potersi esprimere riguardo la riforma approvata senza la maggioranza qualificata dei due terzi.

A questa procedura bifasica, la Costituzione individua l’eccezione prevista dal terzo comma del medesimo art. 138, il quale prevede che in caso di approvazione della legge di riforma costituzionale, con il voto favorevole dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, non sia possibile chiedere l’ulteriore approvazione dei cittadini, mediante referendum. Ma il rapporto tra le due procedure è il medesimo che intercorre tra ordinarietà e straordinarietà.

Il legislatore costituente preferì questa procedura perché cercò di rispondere all’esigenza di rendere più complessa, senza tuttavia rendere estremamente difficile, l’approvazione delle norme costituzionali e favorire una più ponderata riflessione.

Questo intendimento storico-costituzionale è riscontrabile nei resoconti dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente e ci consente di affermare che per ottenere una “ponderata riflessione” debba essere garantita una seria e approfondita informazione circa il quesito referendario.

Informazione che può e deve essere garantita attraverso una campagna esclusiva, senza che possano essere sovrapponibili altri temi elettorali.

Se si dovesse sovrapporre, in un “election day”, la consultazione referendaria e le elezioni suppletive di Camera e Senato, ovvero quelle per i rinnovi dei consigli regionali e comunali, da un lato si polarizzerebbe l’attenzione mediatica sulle tematiche localiste della campagna elettorale, divisive per antonomasia e totalizzanti nei toni e negli spazi disponibili, dall’altro lato si comprimerebbe surrettiziamente la libertà dei movimenti politici a prendere posizione in favore della riduzione del numero dei parlamentari. Ciò perché con il clamore tipico di ogni consultazione politica comunale o regionale, la posizione di quell’ipotetico e coraggioso candidato favorevole al NO all’approvazione della legge costituzionale verrebbe fortemente stigmatizzata dalla vulgata demagogica e populista, con grave danno per lui, in termini di consenso.

Non si può prescindere da questa banale considerazione, se si vuole effettivamente tutelare l’importanza di quella “ponderata riflessione” cui aspiravano i membri dell’Assemblea Costituente e in particolare l’on. Tomaso Perassi del Partito Repubblicano. Ma quella “ponderata riflessione” va ricercata e incentivata non solo per filologica adesione al dettato costituzionale ma soprattutto per rendere effettiva la portata dell’art. 138 della Costituzione.

È una questione tra Parlamento, Costituzione e popolo, in questo rapporto il governo non deve mettere lingua. Non possiamo accettare l’ennesimo intervento ipertrofico del governo, che nei fatti renderebbe vana la consultazione referendaria, mettendola al traino di altre elezioni.

“Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare” insegnava Luigi Einaudi e ciò è alla base della democrazia, senza questo semplice ma fondamentale meccanismo, qualsiasi deliberazione popolare sarebbe facile preda di arringatori di folla e contraria allo spirito originario della Costituzione.

È una questione di principio, e sul principio non possiamo transigere, il Referendum merita una informazione approfondita e pacata, con spazi adeguati ed esclusivi, agli antipodi rispetto alle campagne elettorali urlate, che caratterizzano tanto le elezioni politiche, quanto le comunali o regionali.

I Comitati noiNO, sorti su iniziativa della Fondazione Luigi Einaudi, sono pronti a dare battaglia, ci avvarremo di qualsiasi strumento giuridico possibile e porteremo la questione anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

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