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San Giovanni Paolo II, uomo di missione e non di apparato. Parla Michelini

Lunedì 18 maggio si celebra il centenario dalla nascita di San Giovanni Paolo II. Una data che corrisponde alla riapertura delle celebrazioni eucaristiche al popolo, dopo la sospensione avvenuta per via della crisi del coronavirus, e al termine delle celebrazioni di Papa Francesco trasmesse in diretta da Santa Marta, che hanno accompagnato i cristiani ogni mattina in questo tempo di prova – come definito dal cardinale Angelo Comastri – segnato dalla pandemia. Attraverso le parole dello storico giornalista Rai Alberto Michelini, amico personale di Karol Wojtyla, in questa conversazione con Formiche.net abbiamo provato a ripercorrere questa importante figura che ha segnato in profondità il novecento della Chiesa e dell’intera umanità, portando la Chiesa nel nuovo millennio.

Un bel segnale, quello della sovrapposizione delle date, se si pensa alla frase con cui cominciò il Pontificato: “Spalancate le porte a Cristo”.

È bello che il centenario della nascita di Giovanni Paolo II coincida con la riapertura alle Messe. Nello stesso tempo però suona anche come una sorta di critica, verso una chiusura sulla quale anche la Cei stessa ha dato il suo contributo. Nel senso che non si è opposta in maniera forte come invece avrebbe dovuto. Rileggendo gli scritti di Giovanni Paolo II sul tema dell’Eucarestia, in particolare la sua enciclica Ecclesia de Eucharistia, dove c’è l’esaltazione del sacramento e che è bellissima, ho pensato che avrebbero potuto rileggerla anche molti vescovi prima di avallare certe decisioni. Lì il Papa dice che l’Eucarestia è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni, ed è proprio vero.

Rileggendo i suoi insegnamenti, si sarebbero potute trarre lezioni sulla questione della sospensione delle Messe?

In questi due mesi è stata sminuita per il cristianesimo, e per il mondo, l’importanza del sacramento dell’Eucarestia. Che per i cattolici è il fondamento della nostra fede, centro e cardine della vita cristiana. Che è stato sospeso, e penso che con le dovute cautele si poteva benissimo non chiudere, ma ora la polemiche è superata. Però bisogna tenere ben presente che potrebbe succedere di nuovo in futuro, e non è così che viene difesa la Chiesa e la sua libertà. Non c’è stata adeguata difesa della Chiesa, in Italia e nel mondo.

Chi era Karol Wojtyla?

Nei miei tanti docu-film ho sempre messo in risalto questo suo essere profondamente un sacerdote, ma autenticamente laico, come ha dimostrato con i suoi gesti e con il suo modo di interagire. Parlando dell’Eucarestia, disse che si tratta non soltanto del dovere più sacro ma del bisogno più profondo dell’anima. Io sono stato testimone di molte sue Messe, nella cappella privata, o delle grandi celebrazioni eucaristiche davanti a milioni di persone, e le due venivano officiate con la stessa profondità di gesti, intenzioni e solennità. In Ecclesia de Eucharistia parla della dimensione cosmica della Messa. In Redemptor Hominis spiega che Cristo è il centro della storia e dell’eterno.

Insomma, un grande Papa e un grande uomo, che ha segnato la storia.

Nella teorizzazione dei “piccoli passi” della Chiesa contro il comunismo, proposta dal cardinale Agostino Casaroli, se non era un gigante come Giovanni Paolo II a dare la spallata, stavamo ancora in piazza San Pietro. Diciamolo, nella storia ci vuole una figura come quella di Giovanni Paolo II, che se vogliamo ha avuto anche le sue personali sconfitte.  Ma dal suo primo viaggio in Polonia nel giugno ’79, dieci anni dopo crollò il Muro di Berlino. Dal Baltico al Mar Nero, senza spargimento di sangue, grazie alla fede di Giovanni Paolo II, crollano le tragiche utopie.

Il cardinale Ruini, parlando del fatto che talvolta la figura di Giovanni Paolo II viene un po’ tirata per la giacchetta, come se il Papa polacco avesse una visione parziale della realtà e non universale, ha messo in guardia da “indebite appropriazioni”.

Sono completamente d’accordo con Ruini, una figura così grande non può essere strumentalizzata da nessuno. Fin quando il Papa parlava di pace, in quelli che lui chiamava i vari areopaghi del mondo contemporaneo, veniva osannato da tutti. Ma quando andò a Strasburgo nell’88 a parlare delle radici cristiane dell’Europa, che sono prima di tutto valori umani, mi chiedo: quanto lo hanno ascoltato e seguito?

Bella domanda…

Navarro Valls mi disse che ci vorranno cinquant’anni per capire fino in fondo il pontificato di Giovanni Paolo II. È talmente ampio il patrimonio di encicliche, lettere semplici scritti alla Chiesa, di discorsi fatti nei 104 viaggi nel mondo e nei 150 in Italia, di tematiche affrontate, tra cui il mistero della femminilità o il dialogo tra le religioni…  Io l’ho sempre definito il Papa dei segni. Lui disse: “credo nel valore dei segni, quei segni che svolgono lo stesso ruolo della poesia, dare un linguaggio all’ineffabile”. Detto da un Papa che era, prima di diventare sacerdote, uno scrittore, poeta, attore, ciò ci mostra l’universalità del suo linguaggio. Il grande regista del teatro rapsodico polacco disse: non puoi lasciare, sei la grande promessa del nostro teatro. Abbiamo tante immagini di Giovanni Paolo II, che i testi scritti non potranno mai consegnare alla storia.

Che cosa ci consegnano queste immagini?

Il carisma di Giovanni Paolo II era un dono della comunicazione che era frutto della vocazione poetica e teatrale sublimata, ma non soppressa, da quella più forte del sacerdozio, che era una vocazione totale per lui. Una sublimazione. Lui denunciava i mali dell’Occidente. Era contro i totalitarismi, essendoci cresciuto dentro, ma era anche contro il relativismo morale, la scristianizzazione della società capitalista, l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione genetica, la contraccezione. Ha fatto una battaglia epocale contro tutto questo. Ma i cristiani sono seguaci di Cristo che è morto sulla croce, apparentemente sconfitto. Croce, che è poi il trono del trionfo.

Proviamo a ripercorrere la storia. Se il pontificato di Giovanni Paolo II nacque con la fine del Concilio, quello di Papa Francesco con le dimissioni di Ratzinger.

Giovanni Paolo II è stato il Papa dell’attuazione del Concilio Vaticano II. Con tutta la sua storia di contemplativo e di mistico. Quello che mi ha sempre attratto e colpito di Giovanni Paolo II è di essere stato un contemplativo, ma in mezzo al mondo. Lo vedevi pregare davanti a milioni di persone con in mano il rosario. Aveva una straordinaria capacità di interiorizzare e pregare e allo stesso tempo era un uomo d’azione. La sua forza ed efficacia la traeva dalla sua vita interiore.

In queste ore si è letto un testo del papa emerito Joseph Ratzinger, inviato alla Chiesa polacca, in cui alla fine afferma che oggi come allora “la Chiesa sta di nuovo soffrendo per l’afflizione del male”.

Oggi stiamo vivendo un altro momento, dove c’è stato il fatto delle dimissioni di Ratzinger, per le sue condizioni di salute e difficoltà. Quello che sta vivendo oggi la Chiesa è un cercare di aprire al mondo, alle altre religioni, a un dialogo più intenso e forse più cedevole. Il documento Nostra Aetate – al di là delll’ecumenismo, grande obiettivo del Papa – è dedicato alla dialogo tra le religioni. Perseguito in tutti i modi, ma che non significava cedere alle altre professioni di fede non cristiana.

Mi spieghi meglio.

Giovanni Paolo II, attuando il Concilio, fu il primo Papa che entrò in una sinagoga o in una moschea. È stato il Papa delle prime volte. La preghiera di Assisi era una preghiera comune. Ma dove emergeva un’incompatibilità di fondo, e mi riferisco all’islam. Il Dio del Corano indica una sottomissione per l’uomo, una maestà superiore e inarrivabile a cui avvicinarsi. Che invece per i cattolici è il Dio con noi, l’Emmanuele, soprattutto un Padre che ci fa vivere una filiazione divina in Gesù Cristo, come figli nel Figlio. È questo è sostanzialmente diverso.

Pensa si tratti di una lezione per l’attualità?

Nella storia vediamo che per noi europei l’islamizzazione significa in realtà una scristianizzazione. In Africa l’islam troppo spesso compra le conversioni, c’è una diffusione dell’islam attraverso un sistema in cui gli adepti, con l’apertura di migliaia di madrasse, vengono sostanzialmente comprati.

In un altro passaggio della lettera, Ratzinger dice, un po’ per smontare i cliché su Wojtyla, che “non era un rigorista morale”, ricordando che fu il Papa della Misericordia divina. Un tratto che lo accomunerebbe a Papa Francesco, che della misericordia ne ha fatto un motivo fondante del suo Pontificato, anche se forse più declinata, nel secondo caso, sul piano più materiale e sociale.

In questa epoca, Francesco è probabilmente, come viene scritto, il Papa che ci voleva. E si possono condividere o meno le critiche legittime, è naturale e umano, ma non è assolutamente possibile o condivisibile attaccarlo o insultarlo. La misericordia è nella storia di Wojtyla fin dagli anni giovanili, quando per andare a lavorare nella cava di pietra, a 22 anni, passava a fianco del convento di Suor Faustina. Francesco, che ha canonizzato Suor Faustina, si è ritrovato a condividere lo stesso messaggio per l’umanità: che la misericordia di Dio è infinita. Che Dio non è un giudice severo ma un Padre pronto a perdonare l’uomo.

C’è un filo comune.

Giovanni Paolo II spiegava che più di tutti nel suo rapporto con Dio lo colpiva il “mistero sconvolgente della Misericordia divina”. Non mi meraviglia che abbia lasciato questa eredità. E mi rende felice che Papa Francesco l’abbia recuperata, anche se forse viene giudicata in una maniera più sociale che teologica.

Papa Wojtyla fu descritto come il Papa carismatico, dove cioè la sua persona, e non solo il suo ruolo di Vicario di Cristo, diventò un punto di riferimento per i fedeli e per la geopolitica. Anche in questo rivede aspetti dei suoi successori?

Arrivò al pontificato a 58 anni nel pieno delle sue forze, bello, carismatico, con una straordinaria capacità di parlare al mondo, anche senza parole a volte. Questo ha segnato il Papa fin da subito, diventando il più autorevole difensore dei diritti dell’uomo. E questo la dice lunga. Ciò lo ha reso protagonista laico di una cronaca che, mentre la viveva, diventava storia. E dava fastidio a tutti, questo era evidente. Questo spiega anche l’attentato del 13 maggio 1981.

Ratzinger afferma anche che la storia di Giovanni Paolo II, per la sua capacità di scardinare poteri terresti, come quello sovietico, con la sola forza della fede, è paragonabile a quella di Leone I o di Gregorio I, e che per questo sarebbe ipotizzabile utilizzare anche per Wojtyla l’epiteto “Magno”.

Sono assolutamente d’accordo. Lo scrittore André Frossard, figlio del segretario del partito comunista francese, che si convertì accompagnando un suo amico cattolico a Notre Dame, diceva, parlando di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo I, che dopo l’uomo di buona volontà che ha aperto il Concilio, dopo il grande spirituale che lo ha portato a termine, e dopo l’intervento dolce e fuggevole come un passaggio di colomba, Dio ci ha inviato un testimone.

Gli storici come ritraggono Giovanni Paolo II?

Hanno detto di tutto, anche che era un Papa tradizionalista o conservatore. Frossard, vedendolo già il 22 ottobre del ‘68, nella Messa di intronizzazione, disse che gli sembrava avesse lasciato le reti sulle rive di un lago e che arrivasse direttamente dalla Galilea. Questo è Giovanni Paolo II. Era un uomo di missione, non di apparato. Era itinerante, per una necessità interiore. Viaggiava per ravvivare la fede sopita dell’Occidente e per inculturarla nei paesi in via di sviluppo. Giovanni Paolo II va studiato e recuperato anche nelle generazioni successive.

(Foto Umberto Pizzi. Riproduzione riservata)

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